Giusto un anno fa moriva Aleksandr Solženicyn. In questi giorni si è tornati a parlare di lui per un incontro tra la moglie e Putin, nel quale si è discusso dell’opportunità di introdurre l’Arcipelago Gulag nei programmi di studio delle scuole russe. L’episodio è stato variamente presentato dalla stampa nostrana e russa e merita qualche riflessione.
Da noi «Repubblica» ha titolato «Si può tagliare un classico?», dando spazio a un dibattito tra alcuni uomini di cultura (sulla questione appunto se sia giusto o meno offrire delle versioni ridotte di una grande opera letteraria), che effettivamente coglieva un problema posto nell’incontro, ma che è molto riduttivo rispetto all’incontro in quanto tale, caratterizzato da un evidente battibecco tra la vedova di Solženicyn e Putin (sulla questione se si possa parlare di propaganda a proposito di un’opera letteraria) e determinato da un contesto del tutto particolare. Certo, poi nel corpo dell’articolo alcune questioni essenziali erano pur riferite e si sa che i titoli di giornale, per ovvi motivi di concisione, devono spesso semplificare; in questo caso si è però rischiato di arrivare sino al semplicismo.
Molto interessante da questo punto di vista è andare a vedere come è stato presentato l’incontro dalla stampa e dalla rete russa: nel paragone le nostre semplificazioni sembrano niente. Possiamo partire da alcuni titoli di assoluta neutralità, del tipo: «Natal’ja Solženicyna ha incontrato il primo ministro Vladimir Putin» o «Putin ha discusso con la vedova di Solženicyn la questione dello studio dell’opera dello scrittore nelle scuole», per passare poi a curiose presentazioni, più articolate ma decisamente contrapposte. Così si parte da formulazioni del tipo: «La vedova di Solženicyn propone di studiare nelle scuole l’Arcipelago Gulag», «L’Arcipelago Gulag sarà studiato da tutti», per passare a poi a «La vedova di Solženicyn ha fatto un appunto a Putin», «La vedova di Solženicyn resiste a Putin» (che aveva parlato dello «studio e propaganda dell’opera letteraria» di Solženicyn, usando un termine come «propaganda» che era parso del tutto inadeguato alla vedova del grande scrittore). E alla fine si arriva a capovolgere le prime titolature: «Natal’ja Solženicyna non insiste sullo studio dell’Arcipelago Gulag nelle scuole», «La vedova di Solženicyn è contro l’obbligatorietà dell’Arcipelago Gulag nei programmi scolastici», «L’Arcipelago non deve essere un Gulag», «Natal’ja Solženicyna ha difeso gli studenti dall’Arcipelago Gulag», per concludere con un «Natal’ja Solženicyna è contro lo studio dell’Arcipelago Gulag nelle scuole» che è una manipolazione francamente improponibile.
Se questioni simili si potessero risolvere con una battuta potremmo dire che per un paese come la Russia, dove i destini di molti giornalisti fanno dubitare dell’esistenza di una reale libertà e pluralismo dell’informazione, qui c’è fin troppo pluralismo. Ovviamente non è così e, a parte certe estremizzazioni ad effetto, l’insieme degli articoli (e la documentazione audio dell’incontro) permette poi di ricostruire quanto è avvenuto con sufficiente attendibilità; il che però, per certi versi, rende ancora più stridente questa eccessiva distanza tra le diverse presentazioni, perché pur avendo tutti gli elementi di quanto è accaduto è come se mancasse poi il criterio di giudizio che impedisce alla legittima diversità di interpretazione di diventare pura invenzione o di trasformarsi in censura; se vogliamo dirla in maniera positiva, è come se mancasse il criterio di giudizio che permette di distinguere l’essenziale dall’inessenziale e di cogliere poi il significato di quanto è avvenuto. Comunque la si veda, è una mancanza grave perché l’eliminazione di un criterio di giudizio è uno degli elementi fondamentali nella costruzione di un sistema totalitario: se manca l’idea di un vero e di un falso col quale tutti devono fare i conti il potere può permettersi ogni arbitrio e convincere i suoi sudditi che quella è la legge più giusta della storia.
Vale allora la pena di riprendere almeno due punti di questo incontro. Come è ricordato nella maggior parte delle cronache, il battibecco tra la vedova di Solženicyn e Putin è stato determinato dal fatto che Putin, caldeggiando l’idea dello studio dell’Arcipelago nelle scuole ha parlato di propaganda: giustamente è stato fatto notare che l’uso di questo termine ha come smascherato una sorta di riflesso condizionato, il vizio d’origine di un potere che non riesce ancora a liberarsi dell’idea che la cultura possa essere messa al servizio di una qualsiasi ideologia; la reazione della moglie di Solženicyn, che ha esplicitamente rifiutato l’idea di una qualsiasi propaganda per le opere del marito, ha rimesso le cose a posto, dovrebbe aver chiarito come sia difficile continuare a parlare di una sorta di alleanza tra Putin e i Solženicyn, e soprattutto ha mostrato come la letteratura sia ancora una volta uno dei punti che maggiormente fanno resistenza a ogni tentativo di omologazione da parte del potere.
C’è però un altro punto fondamentale, che è presente solo in poche cronache ed è invece del tutto assente in quella italiana; spiegando perché è favorevole allo studio (e non alla propaganda) dell’Arcipelago nelle scuole, e precisando che bisognerebbe introdurlo con la preoccupazione di non renderlo odioso con una obbligatorietà (e una mole) che allontana ogni classico dal cuore degli studenti, la signora Solženicyna ha chiarito: «mi pare che sarebbe giusto, anche solo in relazione a quella che è stata la storia del nostro paese. Perché se cominceremo a pensare che tutto questo non è mai avvenuto, o che si è trattato di “costi” necessari, come si dice a volte da noi negli ultimi tempi, non andremo da nessuna parte».
In un paese che ultimamente ha creato commissioni governative per determinare gli indirizzi delle ricostruzioni storiche e i cui uomini politici si indignano quando viene loro ricordato che gli scellerati patti del 1939 tra Hitler e Stalin furono il vero inizio della tragedia della Seconda guerra mondiale, una simile precisazione apre una dimensione rispetto alla quale la questione dell’antologizzazione o meno di un testo letterario appare veramente poca cosa e soprattutto mostra quanto possa essere essenziale per i destini della Russia e per chi è veramente attaccato a questo paese lo studio dell’opera di Solženicyn.