Lo hanno trovato, morto per attacco cardiaco, alla sua scrivania. Stava lavorando, scrivendo come aveva fatto per tutta la sua vita. Jim Carroll aveva 60 anni e se ne è andato l’11 settembre, un giorno appropriato per un newyorchese purosangue, come era lui. Quando di anni ne aveva solo 13, Jack Kerouac disse di lui che Carroll scriveva «meglio dell’89% dei romanzieri di oggi».
Già, perché Carroll si era fatto un nome fin da giovanissimo, scrivendo poesie, pubblicandole e recitandole nella chiesetta di St. Mark, downtown Manhattan, lo stesso luogo dove poco dopo (fine anni ’60, inizio dei ’70) si sarebbe fatta notare una sua coetanea, Patti Smith.
E tutto questo nonostante si fosse avviato sulla strada della tossicodipendenza a quell’età giovanissima. Eppure grandi doti sportive per un attimo lo avevano fatto balenare come futura promessa della pallacanestro americana.
Con il suo primo romanzo, pubblicato nel 1978, Jim entra nel campo di basket (The Basketball Diaries, portato in seguito sul grande schermo in un adattamento cinematografico interpretato da Leonardo DiCaprio) Carroll sarebbe diventato voce ufficiale della New York più maledetta e viziosa, che lui raccontò attraverso la propria vita: «Qui ho questo diario con il più grande eroe che uno scrittore può sperare, questa fottuta, pazzesca città che si chiama New York». La New York dei bassifondi, ma anche quella delle mille luci (raccontata brillantemente anche nel libro successivo, Jim ha cambiato strada – Forced Entries: The Downtown Diaries 1971-1973), la New York di Andy Warhol, dei musicisti rock, dei primi vagiti del punk. Una capacità di scrittura straordinaria che fu la possibilità di redenzione per uscire dall’inferno dell’eroina: «Quando la città cade nella notte, prima del buio c’è un momento di luce, nel quale tutto sembra chiaro, e l’altro lato appare così vicino…».
Su consiglio dell’amica Patti Smith a fine decennio mise su anche un gruppo rock, la Jim Carroll Band con cui incise diversi album, tra cui lo splendido esordio Catholic Boy (di famiglia cattolica irlandese, Carroll, nonostante gli argomenti scabrosi toccati nel suo lavoro, mantenne sempre la ricerca della purezza e della bellezza come ideale e possibilità di sopravvivenza). In quel disco, il peana ai tanti amici morti giovani per abuso di sostanze o suicidi per incapacità ad affrontare la vita, People Who Died. La canzone, in modo bizzarro visto l’argomento trattato, appare anche nella colonna sonora del film di Spielberg E.T..
Da quasi vent’anni era alle prese con un nuovo romanzo, The Petting Zoo, mai terminato e di cui recitava spesso alcuni capitoli nel circuito delle serate “spoken”.