Durante una breve trasferta a Chicago, settimana scorsa, ho avuto l’occasione di visitare il museo di arte contemporanea locale dove è allestita un’interessante mostra personale di Olafur Eliasson. L’evento è stato organizzato in collaborazione con il Museo di San Francisco, per presentare, per la prima volta in un’importante istituzione museale americana, il lavoro del famoso artista danese.



Fin dal titolo “Take your Time”, si intuisce il valore emblematico dell’esposizione che, ripercorrendo gli ultimi quindici anni dell’attività di Eliasson, invita chiaramente lo spettatore a concentrarsi sulla mostra, prendendosi “il proprio tempo”, mentre si accinge a visitare le sale del museo. Il concetto alla base di ogni lavoro dell’artista è, infatti, quello di creare le condizioni adatte a favorire un’esperienza di incontro tra opera e visitatore. Proprio tale ricercata partecipazione dello spettatore è ciò che rende così affascinante e particolare il lavoro del danese.



Olafur Eliasson nasce a Copenaghen nel 1967 e, attualmente, vive a Berlino. È universalmente riconosciuto come uno degli artisti più importanti della sua generazione e questa fama è sottolineata anche dalle mostre personali che negli ultimi anni si sono susseguite in tutto il mondo. Nel 2003, ad esempio, aveva rappresentato la Danimarca alla Biennale di Venezia e quello stesso anno aveva esposto, per alcuni mesi, nella hall della Tate Modern di Londra, un’installazione luminosa che riproduceva costantemente la luce del sole al tramonto, dal titolo “The Weather Project”, rimasta storica anche per gli oltre due milioni di visitatori ricevuti. Negli ultimi anni ha esposto a Vienna, Francoforte, Oslo, in Giappone e Corea.



La mostra di Chicago raccoglie un ampio numero di opere, provenienti da collezioni sparse in tutto il mondo. I curatori hanno voluto evidenziare come il lavoro di Eliasson rappresenti un’intersezione costante tra natura, cultura e scienza, alla continua ricerca del confine tra ciò che è naturale e ciò che è artificiale. Tra le opere esposte, sono molto affascinanti “One Way Colour Tunnel” del 2007, “Beauty” del 1993 e “Moss Wall” del 1994. La prima è un lungo tunnel prismatico che genera, grazie al gioco di specchi e luci, un effetto uguale a quello del caleidoscopio e che modifica forme e percezioni mentre lo si attraversa, portando alla perdita di orientamento, ma contemporaneamente all’apertura di prospettive e punti di vista nuovi generati dall’incrocio del proprio sguardo riflesso o da quello di altri visitatori intenti nello stesso percorso. Al contrario, “Beauty” è una stanza buia e insonorizzata in cui Eliasson fa entrare lo spettatore ponendolo di fronte all’incontro tra due elementi, quali l’acqua e la luce, uno naturale e il secondo artificiale. Un proiettore luminoso, infatti, illumina soltanto una porzione di acqua vaporosa che piove da un tubo posizionato all’altezza del soffitto. A seconda del punto in cui ci si trova ad osservare l’azione, si possono notare gli effetti diversi che scaturiscono da tale impatto e che, quindi, lo spettatore può vivere, sentire e respirare in prima persona. La trasparenza della cascata d’acqua, ad esempio, non è sempre tale, ma in alcuni punti, per effetto della luce, si trasforma in una sorta di muro invalicabile. “Moss Wall” è inveceun’installazione costruita con il muschio, tipico anche delle terre d’origine dell’artista, che va a ricoprire un’intera parete di una sala del museo. Per l’intera durata della mostra, il muschio viene lasciato crescere liberamente e, in questo modo, modifica gradualmente ma costantemente la forma e il colore del lavoro e coinvolge pure il senso olfattivo dello spettatore, grazie alla fragranza che emana.

“Take your Time” propone anche diverse serie di fotografie di paesaggi naturali scandinavi, attraverso le quali l’artista ricostruisce luoghi reali ma nello stesso tempo resi artificiali dalla ricomposizione seriale e fotografica, e altre installazioni come, “Room for One Colour”, lo stretto corridoio che emana luce gialla grazie all’utilizzo dei bulbi monocromatici che per la loro frequenza stretta modificano la percezione che si ha del colore e quindi dello spazio. Ciò che caratterizza Eliasson è la sua attenzione all’utilizzo di materiali ed elementi semplici che combinati con lo spazio diventano veri e proprio mezzi fisici dell’opera. Quest’ultima non si pone mai come scultura semplicemente da osservare da un punto di vista esterno, ma, al contrario, si tratta sempre di installazioni di spazio e luce che coinvolgono emotivamente l’osservatore a tal punto da portarlo a riflettere criticamente sulla propria posizione di fronte al lavoro.

Attraverso l’utilizzo di luce, colori e materiali specchianti e lucidi Eliasson crea, dunque, nuovi spazi e distorce le prospettive consuete invitando il pubblico a porsi delle domande sul luogo in cui si trova. Non si tratta, però, di lavori che vogliono rimanere misteriosi nei loro processi di realizzazione, facendo apparire l’artista come un mago. Al contrario, egli descrive sempre precisamente la sua modalità di lavoro, esponendo anche molti modellini e schizzi, perché ritiene che anch’essi siano parte dell’ “esperienza artistica” e del godimento estetico. Rifacendosi anche alle teorie estetiche del filosofo francese Merleau-Ponty, Eliasson ritiene che oggetto e soggetto siano strettamente legati, al punto che il primo non può esistere senza un soggetto che lo osservi e che però, a sua volta, viene totalmente immerso in ciò che ha intorno a sé.

L’artista con le sue costruzioni eccentriche, colorate e geometriche riflette sull’ibrido e la possibile convivenza di natura e cultura. Attraverso le sue opere crea esperienze tangibili per lo spettatore che partecipa attivamente al processo creativo e al suo esito. Un grande merito di Eliasson consiste nella sua capacità di proporre, con sfaccettature e invenzioni differenti, momenti di convivenza attraverso l’opera, aprendo così l’arte a chiunque si metta in gioco con essa.

(Cecilia Torchiana)