Il “Corriere della Sera” pubblica uno stralcio della traduzione dei verbali “segreti” di Hitler e la sensazione immediata è di un interesse emozionale. È il 25 luglio del 1943 e giunge la notizia delle dimissioni e dell’arresto di Benito Mussolini. Il Fuhrer è davvero su tutte le furie e minaccia fuoco e fiamme mentre i più professionali Keitel e Jodl, i capi dell’Oberkommando Wehrmacht (la macchina militare nazista), cercano di razionalizzare il problema e trovare una soluzione. Hitler vorrebbe occupare subito Roma, arrestare tutta la Casa Reale e, al limite, occupare anche il Vaticano prendendo prigioniero Pio XII. Da quella riunione nascerà la politica tedesca verso l’Italia tesa a neutralizzare l’esercito italiano e a occupare la Penisola. La lettura è interessante, stimolante. Sembra di sentire Hitler sbavare di rabbia ed è come mescolare “Il grande fratello” con “La macchina del tempo”: un reality, insomma. In più il pezzo ha un grande pregio che ricorda un noto aforisma del film “Il grande freddo”: «Non scrivo mai niente – dice Jeff Goldblum – che sia più lungo di quanto un americano medio può leggere nel corso di una seduta in bagno media».



In effetti c’è da chiedersi che scopo abbia la pubblicazione di un verbale di questo genere. Già definire questi verbali “segreti” è, come minimo, una forzatura: il volume di Helmut Heiber “Hitlers lagebesperchungen” è stato pubblicato nel 1962 e, per chi non conosce il tedesco è disponibile la traduzione in inglese già da qualche anno. A parte l’eccitazione di vedere il Fuhrer dal buco della serratura non è dato altro al lettore per comprendere quale fosse la posta in gioco e perché si era arrivati a questo. Sarebbe stato interessante, per esempio, sapere che i piani dell’invasione dell’Italia erano stati preparati fin dal maggio 1943 e cioè molto prima della caduta di Mussolini; sarebbe stato utile aggiungere che, nella primavera del 1943, Hitler non volle sostenere Mussolini, il quale lo implorava di aiutarlo, anche a costo di venire a patti con Stalin; sarebbe stato opportuno ricordare la concezione tutta particolare che avevano i tedeschi e i nazisti ancor di più del concetto di “tradimento” che comprendeva essenzialmente tutto ciò che andava contro i propri interessi mentre Hitler faceva il battitore libero senza mai consultare Mussolini se non a cose fatte. Poteva essere intrigante proporre la tragicità della figura del Duce, schiacciato fra la fedeltà a un’ideologia e a un’alleanza e la rovina del proprio Paese.



Quante cose si potevano dire e scrivere! E invece no, troviamo interessanti spiare Adolfo imbufalito e, finito di leggere l’articolo, viene da pensare che, forse è meglio guardare il Grande Fratello.

Forse mi sbaglierò, ma non credo sia mai stato pubblicato qualcosa su un uomo che, il 9 settembre del 1943, si sacrificò per ridare una dignità all’Italia. Il sottotenente Ettore Rosso, del genio della divisione Ariete, contrastò con pochi altri volontari (ed è bene ricordarne i nomi: Pietro Colombo, Gino Obici, Gelindo Trombini e Augusto Zaccanti) una colonna di panzer tedeschi. Quando stava per essere sopraffatto si fece consapevolmente saltare in aria con il camion carico di mine. Un kamikaze? Un fesso? Tanto chi si ricorda più di lui e dei suoi uomini? Sarebbe interessante se i giornali ricordassero, il prossimo 8 settembre, chi seppe morire per ridarci la possibilità di guardarci di nuovo allo specchio: ammesso che la cosa ci interessi ancora.