È fresca di stampa e domani sarà disponibile in libreria. L’ultima fatica di Pierluigi Battista si intitola “I conformisti. L’estinzione degli intellettuali in Italia”. Un’analisi schietta della deriva culturale del nostro Paese, vittima da decenni di una contesa ideologica, banalmente divisa in destra e sinistra, fra schieramenti “ufficiali” di letterati, filosofi e artisti. Elite culturali che hanno via via emarginato i liberi pensatori realmente originali che osano esprimersi al di là degli schemi consueti, dei ragionamenti triti e ritriti e della facile demagogia politicamente corretta. Abbiamo rivolto all’autore alcune domande sui temi portanti affrontati in questo volume
Dottor Battista a quali cause risale l’emarginazione di un certo tipo di intellettuali, quelli che lei considera i veri non conformisti?
La causa principale nasce da un maggiore attaccamento alla verità più che all’appartenenza a una qualsiasi corrente intellettuale. Tradire un’appartenenza a un gruppo di pensatori per non tradire se stessi comporta inevitabilmente un prezzo molto alto che il più delle volte si traduce con la solitudine, l’isolamento e l’ostracismo. Le amicizie intrecciate si infrangono come niente fosse, tutto un certo tipo di mondo intellettuale improvvisamente si rivolta all’unisono contro l’ex compagno. È una sorte che ha accomunato i più grandi intellettuali cosiddetti “irregolari”, basti pensare a Albert Camus, George Orwell, Georges Bernanos e Simone Weil. Ma anche a Ennio Flaiano, per citare un caso italiano. Il conformismo invece paga, consolida i rapporti sociali. Occorre coraggio per abbandonare il proprio mondo di appartenenza culturale e guardare in faccia la verità.
Lei ha descritto quanto avviene nei confronti dell’ostracizzato. Ma ci si aspetterebbe che una classe intellettuale abbia abbastanza apertura mentale per non escludere alcun pensatore dal confronto dialettico
Come le dicevo la fedeltà a un’appartenenza ideologica fa premio sulla ricerca solitaria della realtà e della verità. Gli intellettuali che hanno ostracizzato gli esponenti di un pensiero fuori dagli schemi sono stati sedotti dalle sirene totalitarie. Hanno scelto l’idea della conformità, dell’allineamento rispetto al compito critico che è proprio degli intellettuali. L’unico vero bersaglio della loro critica sono appunto gli “eretici”. E per questi ultimi la strada è davvero in salita.
Nel suo libro lei fa riferimento a due principali ambiti di pensiero: la letteratura e la filosofia. L’emarginazione dei cosiddetti irregolari ha colpito anche altre aree della cultura? Come l’arte o la politica?
In primo luogo sostituirei la parola emarginazione con “isolamento”. Quella perpetrata dai maître à penser conformisti non è infatti una persecuzione. Si tratta piuttosto di una sottile strategia di isolamento. Ricordiamoci che Camus e Milosz hanno ricevuto il premio Nobel, quindi di per sé non hanno subito un’emarginazione, non si può proprio dirlo. Un’eccezione in tal senso riguarda gli intellettuali che hanno vissuto nei paesi totalitari, quelli sì che sono stati perseguitati davvero. Ma nel caso comune è molto più semplicemente il “branco” che la fa pagare. E sicuramente, per rispondere pienamente alla domanda, la politica non solo è coinvolta, ma è la vera e propria matrice di tale atteggiamento. Nel rapporto con la politica gli intellettuali cambiano se stessi. Uno dei più grandi misteri che interrogavano Orwell era questo: come mai – egli si chiedeva – persone che nel proprio ambito espressivo raggiungono vette straordinarie ogni volta che hanno a che fare con il pensiero politico sono colte da un profondo oscuramente mentale?
Un fenomeno che ha davvero riguardato molti artisti e pensatori
Magnifici pittori, poeti, scultori, artisti, filosofi che nel loro campo hanno prodotto opere straordinarie hanno tradotto l’appartenenza politica in un comportamento rigidamente ortodosso con i dettami del proprio partito assumendo una forma di rigidità dogmatica e schematica. La grande storia della seduzione totalitaria è costellata da intellettuali, intelligentissimi e bravissimi, che affrontando la politica si mutilavano la mente. È quella che Milosz, con una fortunatissima definizione chiamò, “la mente prigioniera”. Prendiamo ad esempio Picasso. Egli è stato uno dei più grandi artisti e al contempo un perfetto esempio di conformista politico del suo tempo. Non è un caso che le sue opere più brutte siano dipendenti dalla volontà di celebrare il proprio credo ideologico: la colomba, il ritratto di Stalin e forse anche la stessa Guernica, sebbene quest’ultima abbia una storia un po’ particolare.
Crede che gli intellettuali cattolici siano state particolarmente vittime di questo tipo di emarginazione? Se sì perché?
Lo credo fermamente. Bernanos è il classico esempio di intellettuale cattolico isolato del ’900. In Italia abbiamo esempi illustri fra i quali Augusto Del Noce o Giovanni Testori. Le cause di ciò, almeno nel nostro Paese, sono da attribuire all’egemonia culturale della sinistra che ha messo i pensatori cattolici ai margini. Soprattutto contro Augusto del Noce si era messa tutta l’ideologia italiana. Questo perché egli spiegava il suo tempo nell’ottica di una continuità tra cultura fascista e cultura antifascista. Del Noce fu fra i primi a cogliere il nesso fra Gentile e Gramsci. Formulò un pensiero che era, e in parte rimane ancora oggi, tabù. Ai suoi tempi uscirsene con la definizione di “suicidio della rivoluzione” non era affatto cosa semplice. I cattolici sono stati pensatori che per definizione non potevano che essere ritenuti i più estranei alla corrente di pensiero dominante negli ultimi decenni. Per Bernanos il meccanismo fu lo stesso. L’intellighenzia francese agì in modi molto simili a quella italiana.
Sembra che il conformismo culturale e intellettuale sia un fenomeno appartenente totalmente al ’900 e di cui oggi viviamo le conseguenze. È davvero così o le caste intellettuali ci sono sempre state?
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Il problema non è tanto legato al conformismo, che è sempre stato presente in ogni epoca, quanto al totalitarismo. Il novecento è il trionfo dei totalitarismi. Il culmine di un processo in atto a partire dal ’700, ossia dalla nascita della figura moderna dell’intellettuale. In queste menti prigioniere cominciò a covare l’idea di sostenere qualsiasi sacrificio per la realizzazione della dottrina ideologica. Per cui persone che avevano prestato i loro formidabili argomenti per la rivoluzione francese si trasformarono nel tempo in artefici del terrore. Anche in quel caso ci furono “lupi solitari” fra i pensatori. Fra tutti Chateaubriand che fu il primo a capire e a prevedere l’esito del ’93, comprese il meccanismo del cieco potere giacobino, mentre molti suoi “colleghi” proseguirono la loro attività negli anni del terrore come se nulla fosse.
Tornando ai nostri giorni. Non è strano che nell’epoca del relativismo la cultura cosiddetta ufficiale si cristallizzi su alcuni capisaldi e preconcetti ideologici irremovibili?
Questo aspetto è un classico delle rivoluzioni. Tutte le rivoluzioni si trasformano in dogma e che l’ideologia della tolleranza si trasformi nel massimo dell’intolleranza è una storia antica. Nel caso del relativismo affermare che non esiste alcuna verità significa in fondo istituire un pensiero unico. Questo è così forte e pervasivo che difficilmente si può cogliere il paradosso in esso contenuto senza passare dalla parte dei “ribelli” e quindi rischiare l’isolamento di cui stiamo parlando.
I personaggi da lei additati come intellettuali conformisti e allineati sono quasi tutti accomunati da una filosofia, in particolar modo Heidegger e Sartre, di matrice nichilista. È un caso?
In parte sì. Non è il nichilismo l’unica fonte di conformismo, sebbene sia fortissima come fonte. Si può essere ad esempio anche cattolici e conformisti, i cattocomunisti ne sono una perfetta immagine. Certo, le società moderne hanno perso il rapporto vitale con la religione, però non credo che ci sia una derivazione unica e assoluta dal nichilismo. Il problema è piuttosto di etica ideologica. L’ideologia è un surrogato della religione, è una religione secolare. Chi vuole uccidere quella tradizionale per sostituirla con un’altra di tipo surrogatorio assume degli atteggiamenti intolleranti nei confronti di chi si discosta dal nuovo dogma proposto. Questo è il vero problema, la sostituzione della realtà con un’idea.
(Raffaele Castagna)