L’editrice Santi Quaranta di Treviso ha appena pubblicato la versione completa delle Lettere a Olga del drammaturgo ed ex presidente ceco Vaclav Havel. Si tratta di 144 lettere indirizzate alla moglie tra il giugno 1979 e il settembre 1982, durante gli anni di prigionia trascorsi nelle carceri della Cecoslovacchia comunista per essersi fatto promotore della difesa dei diritti umani e civili. Una parte di questi testi era già uscita in italiano in due libri editi da CSEO ma ormai introvabili (Lettere a Olga e Gli ostaggi sono fuggiti).
Nella sua prefazione, l’editore F. Mazzariol scrive che Lettere a Olga è un’opera alta e inusuale, che rispecchia tutto il mondo di Havel: «il suo pensiero e la sua religiosità, la grandezza e la forza culturale ed etica del suo umanesimo, la sua incommensurabile dignità di uomo».
Condannato a 4 anni e mezzo di carcere per “sovvertimento della repubblica” in seguito al processo al Comitato di difesa degli ingiustamente perseguitati (VONS), Havel passa il periodo più duro nel carcere di Hermanice (Ostrava), in compagnia degli amici V. Benda e J. Dienstbier, anch’essi attivisti del dissenso. È destinato a saldare griglie di latta e tagliare flange dalle lamiere, viene preso di mira dal direttore che non vede l’ora di avere finalmente dei prigionieri “politici” da “rieducare”, con i quali – ricorda Havel – “ritrovava il senso della sua vita”. Ai detenuti è permesso scrivere una lettera alla settimana rispettando regole ben precise (è escluso persino l’umorismo): «Si trattava anche di un sport: ci riuscirà di raggirare il comandante o non ci riuscirà? Ci riuscirà di dire qualcosa di sensato nella lettera oppure no? Finimmo con l’appassionarci… Quelle lettere diventarono l’occasione per un nuovo modo di cercare me stesso o per un nuovo modo di vedere le questioni fondamentali della mia vita».
A prima vista si tratta di scritti indirizzati alla moglie ma nei quali, oltre alle richieste spicciole, emergono sollecitazioni e intuizioni profonde. È un dialogo interiore caratterizzato dalla religiosità, intesa come ricerca del significato dell’esistenza.
Al detenuto Havel mancano i dolci, la cioccolata, la frutta e le vitamine, ma sono accidenti che non ne determinano l’animo, e tra i divieti e le censure riesce a fissare sulla carta pensieri sulla vita e sulla morte, su coscienza e responsabilità, sul perdono, sull’esperienza dell’assurdo e il teatro. Tra lamenti ipocondriaci per il mal di denti e le emorroidi ci infila una riflessione sulle opere dei suoi autori preferiti, da Brecht a Böll, da Beckett a Kafka, riprende suggestioni dalla Bibbia, dalla filosofia e dalla storia antica, e chiede persino di avere una copia di Introduzione al cristianesimo di Ratzinger anche se non arriva esplicitamente a pronunciare la parola Dio.
Il ricordo di Olga (1933-1996), “la brontolona”, apre e chiude ogni riflessione. Ragazza di origini operaie, Havel la conobbe negli anni ’50 e la sposò nel 1964: «Io un ragazzo borghese, un intellettuale eternamente impacciato, lei una ragazza proletaria molto originale, sentimentalmente sobria, a volte mordace e antipatica». Le scrive consigli, la rimprovera per le sue pigrizie, la critica per il trucco e la loda per la pettinatura, ma invano si cercherebbero, nella raccolta, lettere d’amore. Una volta Kamila, la moglie di Vaclav Benda (all’epoca – come detto – suo compagno di prigionia) scrisse al marito che nelle lettere di Havel, a differenza delle sue, non comparivano espressioni particolarmente affettuose: «Benda mi aveva fatto leggere quelle righe, e io provai a scrivere una lettera d’amore a Olga. Ne uscì uno strano testo che conteneva un unico sentimento ardente: la rabbia verso Kamila che mi aveva costretto a scrivere quelle cose!».
Olga rimarrà una presenza fondamentale nella vita del drammaturgo: «Ho trovato in lei proprio quello di cui avevo bisogno: la risposta mentale alla mia incertezza mentale, un sobrio revisore delle mie folli idee, un sostegno privato alle mie avventure pubbliche». Poco prima di morire, sarà lei a consigliare a Vaclav di risposarsi.
Infine, era quasi ovvio che quei testi sarebbero circolati da subito fra amici e conoscenti, suscitando l’interesse di molti e la sorpresa dell’autore: «Chi, nella fretta del mondo moderno, ha il tempo di superare le difficoltà di quelle frasi aggrovigliate e di andare alla ricerca del loro significato?… E che dire della filosofia? Il mondo è inondato da migliaia di libri più leggibili e verosimilmente più penetranti, scritti da veri filosofi che non sono stati costretti a scriverli in fretta e in mezzo al chiasso, e che potevano fare citazioni da tutti i libri del mondo: cosa si deve fare in questa situazione con un libro così strano? Confesso che ammiro tutti quelli che lo hanno letto per intero e lo hanno capito».