Il 27 gennaio, alla presenza del Presidente della Repubblica, Elie Wiesel, ebreo rumeno naturalizzato statunitense, premio Nobel per la pace nel 1986, parla davanti al Parlamento italiano.

Nel suo libro La notte, pubblicato in Francia nel 1958 e in Italia solo nel 1980, Wiesel racconta la sua lotta e il calvario degli ebrei durante la deportazione nei campi di sterminio, in cui l’orrore è accresciuto dalla discesa progressiva dalle altezze della fede alla desolazione della rivolta contro Dio, all’impossibilità di ripetere ancora le sue benedizioni, come a ogni ebreo osservante la legge prescrive. Non è questa l’ultima degradazione di un uomo solo, solo nel dolore di tutto un popolo umiliato e annientato, i cui occhi vedono il buio: una posizione estrema, che  rende onore a chi ha scritto queste memorie, gettando una luce tragicamente nuova sull’orrore dell’Olocausto. La pagina più famosa di questo libro, ripresa anche da Jonas, in Il concetto di Dio dopo Auschwitz, è il racconto di tre impiccagioni.



I tre condannati salirono insieme sulle loro seggiole. I tre colli vennero introdotti contemporaneamente nei nodi scorsoi.

– Viva la libertà! – gridarono i due adulti.

Il piccolo, lui, taceva.

– Dov’è il buon Dio? Dov’è? – domandò qualcuno dietro di me.

A un cenno del capo del campo le tre seggiole vennero tolte.



Silenzio assoluto. All’orizzonte il sole tramontava.

Poi cominciò la sfilata. I due adulti non vivevano più. La lingua pendula, ingrossata, bluastra. Ma la terza corda non era immobile: anche se lievemente il bambino viveva ancora…

Più di una mezz’ora restò così, a lottare fra la vita e la morte, agonizzando sotto i nostri occhi. E noi dovevamo guardarlo bene in faccia. Era ancora vivo quando gli passai davanti. La lingua era ancora rossa, gli occhi non ancora spenti.

Dietro di me udii il solito uomo domandare:

– Dov’è dunque Dio?

E io sentivo in me una voce che gli rispondeva:



– Dov’è? Eccolo: è appeso lì, a quella forca.

 

Nella Prefazione al libro Francois Mauriac rievoca il suo primo incontro con Wiesel, divenuto giornalista. Parlano dei bambini ebrei caricati sui vagoni diretti ai lager. “Io sono uno di loro”, gli dice. Aveva 15 anni quando fu internato. La prima notte vede le volute di fumo nero uscire dal forno dove sua madre e sua sorella più piccola stanno per essere cremate:

 

Mai dimenticherò quella notte, la prima notte nel campo, che ha fatto della mia vita una lunga notte e per sette volte sprangata. Mai dimenticherò quel fumo. Mai dimenticherò i piccoli volti dei bambini di cui avevo visto i corpi trasformarsi in volute di fumo sotto un cielo muto. Mai dimenticherò quelle fiamme che consumarono per sempre la mia Fede. Mai dimenticherò quel silenzio notturno che mi ha tolto per l’eternità il desiderio di vivere. Mai dimenticherò quegli istanti che assassinarono il mio Dio e la mia anima, e i miei sogni, che presero il volto del deserto. Mai dimenticherò tutto ciò, anche se fossi condannato a vivere quanto Dio stesso. Mai.

 

Mauriac tace, vorrebbe parlargli del mistero della Croce. Non può far altro che abbracciarlo piangendo.