«La gratitudine, ed essa soltanto, può indurci al sacrificio estremo dell’amore a Dio e dell’amore agli uomini. Il senso del dovere, degli obblighi cui siamo tenuti, forse non riuscirà a trovare in sé le forze per compiere l’ultimo sacrificio della vita, dell’offerta e dell’amore. La gratitudine invece sì, le trova». Si potrebbe porre questa frase (appartenente al metropolita Antonij Bloom, una delle figure più straordinarie dell’ortodossia russa del XX secolo), in epigrafe al convegno che si apre oggi pomeriggio alle 17 all’Università Cattolica di Milano e proseguirà a Seriate, presso la Fondazione Russia Cristiana, nelle giornate di sabato e domenica.



Filosofi, uomini di Chiesa e artisti provenienti dall’Occidente e dalla Russia si incontreranno infatti per porre a tema l’uomo, la sua reale statura e le potenzialità di rinascita che sono nascoste nelle pieghe della stessa civiltà malata che sembra sopraffarci da ogni lato.

A partire dalla gratitudine: l’interessante, infatti, è che questa possibilità di rinascita non è un’utopia del futuro, o un patetico e nostalgico tentativo di riandare a un passato irreale, idealizzato, bensì un’esperienza già in atto, sorta alcuni decenni fa attraverso carismi sorprendentemente simili, sia nel mondo ortodosso che in quello cattolico e anglicano, che nel tempo si sono incontrati e intersecati, tracciando vie di amicizia e di fraternità nel grande alveo del cammino della Chiesa.



Stiamo parlando della via percorsa da don Luigi Giussani dal seminario di Venegono alle aule del Berchet per testimoniare la «cosa dell’altro mondo» che aveva incontrato; del cammino fatto nella Russia sovietica o nell’emigrazione da padre Aleksandr Men’, Sergej Averincev, padre Šmeman, il metropolita Antonij Bloom e altri ancora, imbattutisi nella persona vivente di Cristo proprio laddove sembrava essere stata negata per sempre; delle ricerche di John Milbank e dei suoi amici per liberare la ragione «secolarizzata» e restituirla alla sua statura autentica, cristiana.
 

«Non si sente il rumore dell’erba che cresce», recita un detto popolare russo a significare che la vita, la bellezza si impone d’un tratto, senza far rumore. Ed è quello, in particolare, che è successo in Russia: oggi stiamo cominciando a prendere coscienza di un fenomeno imponente, ma che finora era come passato inosservato.



Si aveva l’impressione che si trattasse di alcune singole grandi personalità, isolate e addirittura in qualche modo «eccentriche» rispetto alla Chiesa ufficiale, fortemente condizionata dal regime. In realtà – ed è questa la novità che il convegno vorrebbe evidenziare – ciascuno per vie diverse e seguendo la propria vocazione, queste persone hanno contribuito a creare una traccia unitaria, una nuova prospettiva di metodo educativo, diventando per molti una guida, originando e alimentando comunità cristiane ed esperienze ecclesiali connotate dalla consapevolezza del proprio compito educativo e missionario.

In altri termini, oltre alla grande letteratura russa, oltre al pensiero «forte» del dissenso, nutrito da personalità come Solženicyn, Havel, Bukovskij ecc., si va configurando una teologia che potremmo definire come «teologia della comunione», e che rilegge il cammino di ricerca religiosa dell’uomo contemporaneo e il suo approdo alla fede attraverso le categorie di «incontro», «esperienza», «avvenimento», «ferita», «cuore» e così via.

Una risorsa impensata, insperata – se si pensa al travaglio e alle persecuzioni subite dalla Chiesa russa nel XX secolo – che oggi può realmente diventare lo strumento di un nuovo inizio, l’imporsi di una «Presenza che non si può né descrivere a parole, né afferrare con l’intelletto, né vedere, né figurarsi con l’immaginazione. Si può solo incontrarla» (Georgij Čistjakov). Un’esperienza che oggi unisce cattolici, ortodossi, anglicani, che li muove davanti ai carismi suscitati nella Chiesa, li rende curiosi, attenti e carichi di stupore di fronte a quanto sta accadendo.

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