C’è un grande romanzo di Rudyard Kipling, quel Capitani coraggiosi erroneamente identificato come “classico” per ragazzi, che, se riletto, ci aiuterebbe a comprendere quali doti deve avere un imprenditore, anche oggi, per superare le difficoltà e le crisi. E per arrivare al successo. Scoprendosi, magari, suo malgrado, anche educatore di giovani.



Con questa chiave interpretativa, ho voluto rieditare, insieme con l’imprenditore Marco Boglione, il grande capolavoro dello scrittore inglese nato in India, premio Nobel per la letteratura nel 1907. Non è un caso che molti in questi anni abbiano parlato degli imprenditori come dei “capitani coraggiosi” (lo hanno fatto D’Alema e Berlusconi).



Il vero protagonista del libro di Kipling non è Harvey Cheyne junior, il ragazzino vizioso e straricco, figlio del tycoon americano dell’epoca, che diventa grande forgiato dal duro lavoro da mozzo sulla goletta We’re here. Lo è invece Disko Troop, insieme armatore e capitano del peschereccio e del suo equipaggio, marinaio e pescatore, persino padre del mozzo e responsabile ultimo di ogni azione e decisione.

Attorno a lui ruota tutta la storia.  Non ci sarebbe, infatti, nulla da raccontare senza Troop, senza la sua tenace volontà di guadagnarsi da vivere con la pesca sui Grandi Banchi di Terranova. Col risultato, di riuscire a garantirla, in questo modo, anche al suo eterogeneo equipaggio. Gli imprenditori di oggi lottando per la sopravvivenza per sé la garantiscono anche per i loro collaboratori. 



E se, nel romanzo, Troop non accetta di tornare sui suoi passi per restituire il “bamboccione” alla sua famiglia dopo averlo ripescato, naufrago e svenuto in mezzo a un branco di pesci,  non è per insensibilità umana. “Ci sono otto persone sulla We’re here – dice – e se tornassimo adesso, e sono più di mille miglia, perderemmo la stagione. E se anche fossi d’accordo, gli altri non lo sarebbero”. Disko sa che il suo destino è lo stesso dei suoi compagni di viaggio nella gara ai merluzzi che con loro ha ingaggiato nel tratto di mare più pescoso che si conosca al mondo, e non c’è ragazzino impertinente che tenga a fargli cambiare programma…

Senza di lui, inoltre, non possiamo immaginare una squadretta di fisherman così diversi l’uno dall’altro per temperamento e storia personali eppure così fortemente uniti. A tenerli insieme c’è la sua autorevolezza riconosciuta. In gergo calcistico si direbbe “che sa tenere lo spogliatoio”!

E ancora: senza Disko Troop non ci sarebbe la sorprendente parabola del ragazzino erede di trenta milioni di dollari (una cifra, all’epoca, da autentico Paperon de’ Paperoni) che nell’incontro, non voluto né programmato, con quest’uomo e coi suoi pescatori, si ridesta come da un sogno e può guardare finalmente in faccia la realtà: un mondo e un modo di vivere che non lascerà mai più. Un mondo di fatiche e di soddisfazioni. Alla madre, da un lato pacificata per aver ritrovato il figlio che credeva disperso in mare, dall’altro preoccupata per lo choc di quell’avventura, che dice: “Mi chiedo come abbia potuto reggere il tuo sistema nervoso”, Harvey risponderà:  “E perché, mamma? Ho lavorato come un mulo, mangiato come un maiale e dormito come un morto”. Meglio di così!

Disko diventa, nella vicenda del giovane Cheyne, persino un padre putativo. Così padre da costringere quello vero, Harvey senior il magnate, a rivedere il suo stesso atteggiamento verso il figlio. “Harvey – racconta Kipling nel descrivere l’incontro tra il miracolato ragazzino e il padre proprietario di miniere d’oro, linee ferroviarie e quant’altro – si distese sul divano, si sfilò gli stivali e si addormentò prima che il padre oscurasse le luci. Cheyne rimase seduto a guardare quel volto all’ombra del braccio appoggiato alla fronte e, tra tutte le cose che gli vennero in mente, pensò che forse non aveva fatto il suo dovere di padre. Non si può mai sapere quando si corre il rischio peggiore – disse -. Forse per lui è stato peggio che morire annegato, ma non credo che sia così… non credo proprio. E in questo caso non avrei soldi abbastanza per ripagare Disko Troop, e non credo di sbagliarmi”.

Disko Troop è la metafora del vero imprenditore perché sa scegliersi l’equipaggio. Sa attorniarsi delle persone giuste, quelle di cui si può fidare. Harvey junior si è stampato nella mente una frase di Disko: “Dice che ‘le persone dello stesso sangue devono restare unite’. Il suo equipaggio gli è sempre stato fedele. Dice che è per questo che ha pescato così tanto”.

Disko sa essere severo ma anche magnanimo verso tutti, come un buon padre di famiglia, anche verso chi si caccia sempre in qualche guaio. Ma soprattutto, ognuno, ai suoi occhi e alla sua guida solida e ferma, ha un ruolo che ben si integra con gli altri.

Persino l’ospite inatteso, il ragazzino impertinente, trova la sua giusta collocazione nel momento in cui riconosce l’autorità buona e sicura del capitano della We’re here.

Disko Troop è un vero imprenditore del mare che sa capire dove va il “mercato”. Per lui il mercato è il pesce. E’ lui che sa interpretare dove e come sarà possibile pescare il maggior numero di merluzzi, perché sa entrare, per così dire,  nella loro testa, tra le calde correnti del Golfo e quelle fredde del Nord, tra la nebbia che improvvisamente si abbassa e le giornate di tempesta o durante il vento o nelle giornate piene di sole e di lucentezza. Così fa l’imprenditore oggi, che sa spuntarla grazie al fatto di saper capire il mercato essendosene immerso fino in fondo.

Il “capitano coraggioso” Disko Troop, inoltre, rispetta tutti i suoi concorrenti, ma sa che il business in mare è fatto di concorrenza e deve trovare il modo per finire le scorte di sale per la conservazione del pesce prima di qualunque altra goletta. Così potrà rientrare sulle coste di Gloucester e vendere per primo, e al miglior prezzo, tutto il pescato. E infatti è proprio lui ad arrivare primo e a fare business.

Disko è sì un capitano coraggioso, ma il suo e quello del suo equipaggio non è il semplice coraggio di chi sa navigare in acque che in decenni di pesca tra ‘800 e ‘900 hanno fatto circa 10mila vittime. Il suo non è solo il coraggio di chi sa fronteggiare tempeste, paurose anche ai giorni nostri, come quelle raccontate nel film La tempesta perfetta, di Wolfgang Petersen, con George Clooney. Il suo, soprattutto, è il coraggio di chi sa, pipa in bocca e cervello in movimento, prendere decisioni in solitaria e assumersi responsabilità, come quella, persino, di educare un ragazzino capitatogli tra capo e collo come Harvey, e di introdurlo alla realtà vera. Proprio come lui sa fare con il figlio Dan, mozzo della We’re here.

E allora – ora possiamo concederglielo – alla fine anche l’adolescente Harvey Cheyne diventa, a suo modo, protagonista e capitano coraggioso, a pieno titolo. Sì, perché ha il coraggio di affrontare le fatiche e le difficoltà della vita in mare. Perché ha il coraggio di scegliere per il suo futuro una vita in cui mettere a frutto le sue capacità, persino sui libri. Ma soprattutto, protagonista a pieno titolo perché ha il coraggio di prendere sul serio una proposta adulta, anche rude, senza fronzoli, a muso duro, e di misurarsi con essa. E’ per questo che alla fine Harvey può dire candidamente alla madre: “E’ l’uomo migliore che abbia mai camminato su un ponte e non credo che ci siano altri come lui”.

In fondo Harvey junior ha avuto il coraggio che un giorno ho sentito definire in questo modo in un luogo che col mare non ha proprio nulla a vedere: “La libertà è sapere prendere una decisione e seguire un altro che è più grande di te. Se vedo in un altro qualcosa di buono e di vero vi aderisco, cerco di imparare da lui”. Una frase che vale tanto di più perché a pronunciarla è stato un detenuto.

Harvey Cheyne junior non ha avuto paura di mettersi in mare e di seguire Disko. Conviene anche a noi?  Io dico di sì.

 

(Capitani coraggiosi di R. Kipling è stato rieditato da Adriano Moraglio con l’imprenditore Marco Boglione per i tipi della Basic Edizioni, www.basicedizioni.com)