Si ritorna a parlare di Pio XII. Questa volta l’occasione è offerta da uno sceneggiato televisivo, “Sotto il sole di Roma”, la cui prima puntata è andata in onda ieri su Rai Uno in prima serata. La fiction è prodotta dalla Lux Vide di Ettore Bernabei, ambientata nel 1943-44 e imperniata sulla figura di Pio XII, soprattutto nei tragici momenti del 16 ottobre 1943, quelli della “razzia del ghetto”, cioè la deportazione degli ebrei romani.
È un momento tragico e drammatico che ha scatenato polemiche roventi. La questione di fondo è perché, in quei giorni, il Papa non intervenne con una condanna esplicita e pubblica dell’azione perpetrata dai nazisti. È una polemica ricorrente contro Pio XII, che è sempre stata pretestuosa, dettata più da momenti legati a particolari circostanze politiche, piuttosto che a una reale documentazione dei fatti e dei documenti storici.
Lo sceneggiato televisivo, visto in anteprima da storici e giornalisti, ripete già adesso il canovaccio consueto. Anche se la fiction è tutta centrata sulla tragica vicenda romana, si è già verificata una frattura tra i “prevenuti di sempre” e quelli che documentano un’incontrovertibile verità storica: quella di un dramma vissuto dal Papa in prima persona, attento soprattutto sia ad aiutare gli ebrei romani e sia, nello stesso tempo, a evitare guai peggiori per la popolazione romana.
Naturalmente, per gusto di polemica, il discorso si allarga a tutto il Pontificato di Papa Pacelli, con valutazioni anche estemporanee, come quella dello storico John Cornwell, fratello del più celebre scrittore John Le Carré, che ha il “coraggio” di definire Pio XII “Il Papa di Hitler”, dimenticandosi le commosse parole che Golda Meir, la grande premier di Israele, alla morte di Papa Pacelli per il sostegno concreto che diede agli ebrei. Per questa ragione, il sussidiario ha ascoltato due storici, giornalisti e scrittori che si sono occupati di Pio XII.
Paolo Mieli, ex direttore del Corriere della Sera, uno dei più grandi giornalisti italiani, ma anche uno storico cresciuto nella “fucina” di Renzo De Felice, ha fatto da consulente storico allo sceneggiato televisivo “Sotto il cielo di Roma”.
Dice Mieli: “La figura di Papa Pacelli mi ha sempre incuriosito e quindi sul suo pontificato mi sono documentato, con passione, come storico. Forse il retroterra della mia curiosità derivava dal fatto che mio padre era ebreo e quindi volevo rendermi conto, documentarmi anche personalmente di quello che era successo veramente. Alla fine io posso trarre tre conclusioni di fondo: la prima è che il Papa, nel momento della deportazione, diede un aiuto concreto agli ebrei romani. Il calcolo approssimativo è che almeno 4.500 ebrei trovarono ospitalità e protezione in istituti religiosi e in conventi; la seconda considerazione è che non esiste alcuna prova, qualsiasi tipo di prova, di una connivenza del Papa con il nazismo; la terza è che lo stesso mondo ebraico ha certificato, per almeno venti anni, gratitudine a Pio XII per il suo operato. Si possono ricordare le parole di Golda Meir, ma persino una “Settima” di Beethoven suonata per il Papa dall’Orchestra di Israele. Poi, ogni tanto arrivano altre opinioni e oggi c’è indubbiamente una divisione nel mondo ebraico sulla figura di Pio XII. Ma i documenti e i fatti storici sono quelli che ho ricordato”.
La deportazione degli ebrei romani, l’irruzione dei nazisti nel “ghetto di Roma” quante persone coinvolgeva? “Le stime che abbiamo a disposizione riguardano quasi diecimila persone. Si sa che ben mille furono deportate in Germania e finirono nei lager. Era il momento della “soluzione” finale” e quindi finirono nelle camere a gas. Di molti altri ebrei romani non si conosce esattamente la sorte. Ma esiste questo dato che riguarda all’incirca 4.500 persone che furono ospitati, aiutati e salvati da religiosi cattolici che stavano nei conventi e in diversi istituti religiosi. Tutto questo è confermato”.
La questione di fondo sembra legata al fatto che, in assenza di una posizione di condanna o di un ordine scritto, nei conventi e negli istituti religiosi poteva crearsi un moto spontaneo di solidarietà verso gli ebrei senza che le gerarchie ecclesiastiche ne fossero al corrente. “È impossibile sostenere una tesi del genere. Il Papa era sicuramente al corrente di quello che avveniva nei conventi romani. A parte il fatto che in quegli stessi conventi stava nascosto metà dell’antifascismo militante che operava a Roma, e che esistevano costanti colloqui tra Vaticano e gli esponenti di quell’antifascismo, un ordine scritto, una presa di posizione pubblica sarebbe apparsa come una sfida intollerabile e avrebbe provocato dei danni incalcolabili, senz’altro maggiori di quelli che erano già accaduti”.
In sostanza lei assolve la figura di Papa Pacelli da tutte le accuse ricorrenti di questi anni? “Sia chiaro che io non voglio minimamente entrare nel merito della causa di Canonizzazione, perché non mi compete. Io do solamente un giudizio storico, fondato su fatti e documenti. E da un punto di vista storico si può affermare che non c’è nulla che, nei rapporti con il nazismo e nelle varie vicende degli ebrei, possa essere imputato al Papa. L’aiuto concreto agli ebrei c’è stato e, ripeto, un ordine scritto, una presa di posizione pubblica sarebbe stata controproducente”.
Andrea Tornielli è un altro grande giornalista e uno storico di valore, che ha scritto ben quattro libri su Pio XII, accedendo anche a documenti del tutto inediti sulla figura del Pontefice: “L’ultimo Papa romano nel senso di nato a Roma”, come ricorda Tornielli.
Tornielli ha partecipato nel 2009, a Yad Vashem, il Museo della Shoah di Gerusalemme, a un incontro tra storici ebrei e storici cattolici proprio sulla figura di Pio XII: “Ci sono posizioni differenti, ma posso dire che si è anche instaurato un dialogo importante. È stato un momento bello e interessante”. Ma quello che interessa mettere in luce a Tornielli, proprio da bravo storico, è la solita questione di fondo: “Il silenzio di Pio XII, la mancanza di un ordine scritto anche sulla tragica vicenda del ghetto di Roma. In quel momento si potevano contare a Roma 750 conventi e vari istituti religiosi. È provato che almeno in 290 di questi posti oltre 4.500 ebrei furono ospitati e salvati. Questa è una stima prudenziale, si potrebbe dire per difetto. Ma documenti, ricordi, testimonianze lo confermano. Si dice che il Papa non sapesse nulla di tutto questo. E la cosa è veramente insostenibile. Chi accusa di solito Pio XII di essere esponente di una Chiesa verticista, che aveva bisogno solo di esecutori, lo ritiene poi capace di non sapere quello che accadeva negli istituti religiosi romani. In realtà, il Papa e il suo Sostituto alla Segreteria di Stato sapevano benissimo tutto. Si pensi al ruolo che Giovanni Battista Montini, il futuro Paolo VI, svolgeva con Pio XII e ai rapporti che lo stesso Montini aveva con gli esponenti dell’antifascismo, che vivevano ospiti negli stessi conventi romani, a contatto con gli ebrei salvati. Diciamo piuttosto una verità che è scomoda per molti: se il Papa avesse fatto una dichiarazione pubblica oppure avesse firmato un ordine scritto, sarebbe certo stato apprezzato dai posteri, ma avrebbe potuto provocare reazioni disastrose soprattutto per i perseguitati. Aveva contro un signore che si chiamava Adolf Hitler”.
Ma Tornielli incalza anche su un altro punto e fa un paragone: “Nel 1965, Papa Montini fece un discorso sulla “Chiesa del silenzio”, quella di fatto prigioniera del comunismo, che viveva come nelle catacombe, e spiegò la ragione per cui la Chiesa non alzava la voce. Disse che ciò avveniva non perché la Santa Sede non conoscesse la realtà della situazione, ma ‘per non provocare mali peggiori’. Non si capisce perché in quel caso il Papa fu lodato per il suo realismo, e invece su Pio XII ricorrono sempre le accuse sul suo silenzio”.
Tornielli offre anche un’immagine della figura di Papa Pacelli: “Da giovane studente frequentava il Liceo Visconti di Roma, non una scuola privata e aveva tra i suoi amici Guido Mendes, un giovane ebreo che frequentava casa Pacelli. Chi ha dipinto Pio XII per un ecclesiastico “nutrito” di antisemitismo non ha capito nulla”.
Probabilmente, al contrario della vulgata, non è stato neppure un Papa conservatore come si crede.
“Infatti – dice Tornielli – fu innovativo se si guarda a quel tempo. È lui che apre all’applicazione del metodo storico-critico per la lettura della Sacra Scrittura. Lui che fa la distinzione, rivolgendosi alle popolazioni russe sotto la cappa del comunismo, tra “errore e errante”. Ancora lui che internazionalizza il collegio cardinalizio. In realtà su Papa Pio XII ci sono una infinità di luoghi comuni. I primi ad attaccare il suo “silenzio” furono i giornali di Stato sovietici all’inizio degli anni ’40, quando dal patto Ribbetrop-Molotov si passò all’invasione tedesca dell’Urss. Poi periodicamente, a seconda dei momenti storici, c’è chi tira fuori dal cassetto questa polemica”.
(Gianluigi Da Rold)