Le recenti assoluzioni degli imputati nel processo di Brescia non sono un’eccezione. Di quasi tutte le stragi a carattere politico del dopoguerra ignoriamo chi siano stati i mandanti, e spesso restano dubbi sugli stessi esecutori. Un epicentro ed una dimostrazione è stato proprio il 1974 in cui si sono susseguiti, dopo la carneficina di Brescia il 28 maggio, l’attentato al treno Italicus ( (4 agosto), le macchinazioni rodomontesche di Edgardo Sogno per una repubblica presidenziale, quelle più serie della Rosa dei venti, l’arresto del capo del servizi segreti Gen. Vito Miceli.



A ben vedere in tutta la lunga filiera dello stragismo ci sono due elementi ricorrenti: il ruolo di gruppi dell’estrema destra neo-fascista e della nostra intelligence militare. Un aspetto estremamente inquietante che è stato documentato di recente da Mimmo Franzinelli nel volume, edito da Rizzoli, La sottile linea nera.



Si può parlare dunque, nella storia dell’Italia repubblicana, di un terrorismo della destra radicale (spesso in combutta col Msi) che attraverso un caleidoscopio di gruppi e gruppetti (da Ordine Nuovo ad Avanguardia nazionale, fino a Freda e Ventura, a Terza Posizione e ai Nar di Fioravanti) ha praticato la politica della strage, degli attentati, della drammatizzazione dello scontro politico sia per impedire (quasi non bastassero i comportamenti elettorali ripetuti dei cittadini in diritto di voto) l’accesso del Pci al governo, sia per preparare un colpo di mano autoritario.

Chi come me fa lo storico ne ha trovato conferme non ambigue nella documentazione raccolta dai magistrati inquirenti e nelle commissioni parlamentari di inchiesta sulle stragi o sulla Mitrokhin. Dunque il sovversivismo, anche armato, del neo-fascismo è cosa certa, anche se si può discutere se sia esistita una cupola (o cosca) che abbia fatto da regia unica, da direttorio.



Ugualmente certo è che i nostri servizi segreti abbiano saputo sempre tutto. E che spesso abbiano fornito una collaborazione costante agli esponenti di questa lunga trama eversiva. Per collaborazione intendo protezioni, stipendi, accesso alle armi, coperture anche all’estero, opportuni silenzi. Essi hanno anche fatto da ufficiali di collegamento o da mediatori con apparati militari degli Stati Uniti e in generale della Nato in forza nel nostro paese.

Mi pare opportuno precisare che si tratta di segmenti delle nostre forze di informazione e investigazione, militare e civile. Non si può parlare, come spesso fanno “pistaroli” e teorici di una cosiddetta “eversione atlantica”, di coinvolgimento, quando non di promozione di attività di sovvertimento e di strage, da parte dei gruppi dirigenti dei nostri servizi. Al tempo stesso mi pare opportuno qualificarli come “deviati”. Sono una minoranza, anche se hanno fatti dei danni incalcolabili.

 

Ciò che colpisce è l’aura di impunità che li circonda. I casi più noti di sentenze riguardano quella del gen. Miceli, del gen. Pietro Musumeci, del col. Giuseppe Belmonte e di non molti altri. In generale, i responsabili di deviazioni, depistaggi, “intelligenza” con terroristi non arrivano a sentenza o i loro reati non vengono adeguatamente sanzionati.

Purtroppo, si fa anche di più. L’attività anche meno commendevole dei servizi viene circondata da una cortina di ferro, inaccessibile, quella del segreto di Stato. L’accesso alle loro carte è difficile, anzi arduo, sia per i magistrati inquirenti sia per le stesse commissioni parlamentari di inchiesta.

 

Gli storici, anche a distanza di trent’anni, incontrano enormi ostacoli a consultare gli archivi. Negli Stati Uniti, grazie all’iniziativa di Clinton e di Bush è stato liberalizzato la consultazione di milioni di documenti. In Italia invece, come studioso e anche come consulente di diverse commissioni parlamentari di inchiesta, mi sono visto rifiutare con pretesti vari (tutti spesso altamente risibili) l’accesso a documenti su cui era stato impressa, subito dopo la fine della seconda guerra mondiale, la classifica di “riservato”, “segreto” o “segretissimo”.

  

Ricordo che parlamentari di centro-destra, quando erano all’opposizione, hanno rivolto interrogazioni al governo Prodi perché avviasse una politica di liberalizzazione, avviata dal sottosegretario Micheli. Ma non mi pare abbiano mosso un dito, da quando sono rientrati nel ministero dell’Interno, della Difesa, dei Beni culturali, alla testa dei servizi ecc. perché vengano rimosse tutte le resistenze (spesso meramente di indolenza burocratica) per rendere di pubblico dominio, o almeno alla portata degli studiosi, la documentazione archivistica concernente l’attività della nostra intelligence.

 

Il giudice Guido Salvini ha consigliato di gettare l’occhio sugli archivi del nostro principale alleato, gli Usa. Mi pare una richiesta condivisibile. Vorrei, però, far presente che tra i magistrati dovrebbe ormai crescere la consapevolezza di un limite: lo strumento giudiziario è debole, se non impotente, quando una vicenda investe i rapporti internazionali o le nostre alleanze. È la ragione per cui non credo si riuscirà mai a far luce sulla strage di Ustica e credo anche su quella di Bologna.

 

Il tema dell’impreparazione della giustizia, quando entrano in gioco equilibri e forze internazionali, è stato ragionevolmente sollevato dal giudice Rosario Priore in un recente libro-intervista con giornalista Giovanni Fasanella, Intrigo internazionale, edito da Chiarelettere. Sarebbe opportuno che l’associazione nazionale dei magistrati dedicasse all’argomento un apposito convegno, insieme agli storici.

 

Condivido la sollecitazione di Salvini perché ho lavorato e lavoro da molti anni sulle carte accumulate presso i National Archives, la Cia e molti altri enti. Sulla base di questa esperienza, mi chiedo se non sia possibile che il ministero per i Beni culturali, di concerto con quello della Giustizia, degli Interni e della Difesa nominino una commissione di cinque persone che si rechino negli Usa e facciano copia dell’enorme materiale concernente l’Italia. Ne esiste moltissimo declassificato e altrettanto che può esserlo attraverso la legislazione sulla libertà di ricerca esistente presso il nostro maggiore partner. La spesa è davvero un’inezia, ma l’utilità sarebbe enorme. Se invece si vogliono perpetuare misteri, senza minimamente raccogliere il dolore infinito delle vittime di orrende stragi, è sufficiente lasciare tutto esattamente come è oggi.

 

 

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