Communio. Rivista Internazionale di Teologia e Cultura è la rivista fondata quattro decenni or sono da tre figure di spicco del pensiero cattolico europeo: Angelo Scola, allora giovane teologo dell’università di Friburgo (Svizzera) e oggi patriarca di Venezia, Hans Urs Von Balthasar, forse il massimo teologo del secolo XX, ma anche musicologo, letterato e grande traduttore, e l’allora professore di Ratisbona, Joseph Ratzinger, oggi papa Benedetto XVI.
A differenza delle molte riviste accademiche di quegli anni, Communio si proponeva di spezzare il muro che separava (e separa) la società, la cultura e l’arte dal pensiero teologico, anche in opposizione all’astrattismo di una certa teologia post-conciliare. La rivista, che, quando nacque nel 1972, uscì dapprima in edizione tedesca e italiana, è oggi sostenuta da quattordici redazioni nazionali, è pubblicata in altrettante lingue e rappresenta, quindi, un ottimo spaccato del pensiero teologico cattolico nei cinque continenti.
In questo spirito e in accordo con un grande progetto esteso a tutte le redazioni, l’edizione italiana, oggi diretta da Padre Aldino Cazzago e stampata e diffusa da Jaca Book, ha scelto di dedicare il suo ultimo numero al tema complesso e attualissimo del diritto naturale. Come precisato nell’Editoriale, a cura di Gianfranco Dalmasso, Andrea Gianni e Silvano Petrosino, il tema è attuale, perché parlare di diritto naturale significa andare apertamente contro la diffusa mentalità relativista e nichilista caratteristica delle nostre società occidentali, affermando che esiste un diritto “di natura”, cioè qualcosa che precede le leggi degli stati.
È complesso, perché non è semplice definire che cosa sia oggi il diritto naturale e come si possa costruire un consenso politico e civile su di esso. Di per sé, il diritto naturale moderno nasce nel secolo XVII, all’epoca delle guerre di religione, alla ricerca di un minimo comun denominatore che consentisse di regolare i conflitti tra gli stati, ormai legati a confessioni cristiane differenti. Nel momento in cui l’Occidente cessava di riconoscersi nella comune fede cattolica, su quali principi si potevano fondare il diritto internazionale, il diritto navale, la diplomazia, le regole – tragiche ma necessarie – alla guerra e nella guerra (“jus ad bellum et in bello”)?
A monte di questa riflessione, che ha trovato i suoi punti di eccellenza nel giusnaturalismo dell’olandese Ugo Grozio e nella filosofia politica di Samuel Pufendorf, ambedue protestanti, si colloca la dottrina tradizionale cattolica della “lex naturalis”, compiutamente formulata da san Tommaso d’Aquino, ma erede di tutta la tradizione classica, sia filosofica che letteraria. Per Tommaso e per la tradizione cattolica la “legge di natura” è la voce profonda della coscienza, che s’interroga sul bene e sul male e che ritiene la moralità umana non riducibile alle leggi degli stati.
Tale idea risale a una grandiosa intuizione del mondo greco, il cui emblema letterario originario è senza dubbio la figura di Antigone, protagonista dell’omonima tragedia di Sofocle. Antigone è la giovane principessa tebana, figlia di Edipo, che trasgredisce l’ordine del re Creonte, suo zio, e rende gli onori funebri al fratello Polinice, ucciso dall’altro suo fratello, Eteocle, nel corso della rivolta contro il re. Per Creonte non c’è che una legge, che è al contempo la sua e quella dello stato, poiché Egli è il re. Creonte, simbolo per eccellenza della tirannia, giustifica questa legge in nome dell’idea di patria, ma, alla fine, la vera ragione di tutto il suo agire altro non è che il suo trono. Antigone, contro il volere del re, seppellisce il fratello e, quindi, disubbidisce, «perché bisogna piuttosto ubbidire alle leggi sacre e inviolabili degli dei, leggi non scritte, ma eterne e incise nel cuore dell’uomo». E il cuore indurito di Creonte, ormai sterile e incapace di leggere dentro se stesso, la condanna, senza sapere che così condanna a morte il figlio Emone, che di Antigone è innamorato, e la moglie Euridice, che non reggerà il suicidio del proprio figlio, solo, infine, con il proprio ormai inutile potere.
La legge di natura è dunque il principio delle nostre libertà e di quell’istituto fondamentale che si chiama “obiezione di coscienza”. Il diritto naturale, quando non è un sistema chiuso come in Grozio e Von Pufendorf, ma faticosa ricerca della verità da parte della ragione – come in Sofocle e, in maniera diversa, in san Tommaso – è un elemento essenziale delle democrazia, quello su cui si può fondare il rispetto per chi è diverso e la convivenza tra i popoli. Antigone è anche il modello a cui, neanche tanto implicitamente, si ispirarono i padri della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo nel 1948, ma anche il principio che ha reso possibile il tribunale di Norimberga e i vari tribunali internazionali, almeno nell’immediato dopoguerra. La tesi di Norimberga è semplice e rivoluzionaria: ubbidire allo stato non è una giustificazione, perché, appunto, ci sono leggi non scritte, le leggi della Coscienza.
Fa dunque molto bene la rivista Communio, facendo suoi i diversi richiami di papa Benedetto XVI sulla necessità e l’imprescindibilità della legge naturale, a chiederci di riflettere su questo tema, attraverso una serie di contributi e testimonianze, tutti seriamente documentati e stimolanti. In effetti, la politica oggi non può fare a meno di confrontarsi sui grandi temi etici ed è su questi temi che gli schieramenti si frantumano e di ricompongono. Ripensare la funzione del diritto naturale è urgente proprio perché il dialogo sociale, per funzionare, necessita di un vocabolario comune e condiviso, i cui termini fondamentali non vengano usati in maniera e con significati deliberatamente ambigui od equivoci.
Il relativismo etico dell’Occidente e la politically correctness come sua religione civile non sono in grado di realizzare questo dialogo dato che, nella migliore delle ipotesi, quel che ne deriva è solo una mera giustapposizione del diverso, una multiculturalità senza incontro e senza scambio. La stessa Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo non è esente da questo drammatico problema di “interpretazione” e, non per nulla, è oggi usata per sostenere una tesi e il suo contrario, come, per esempio, la difesa della famiglia tradizionale o la sua demolizione attraverso il riconoscimento dei cosiddetti matrimoni omosessuali.
Il diritto naturale appare quindi più che mai come uno strumento interpretativo essenziale, se davvero si vuole (ri)fondare il tessuto della convivenza civile, contro le opposte tentazioni dell’integralismo religioso e del relativismo nichilista. In gioco è il valore della stessa ragione umana e, con essa, della dignità dell’uomo, come spiega su questo numero di Communio Martin Rhonheimer, filosofo vicino all’Opus Dei, secondo il quale «il diritto naturale è allo stesso tempo necessario e insufficiente». È necessario, «se non si vuole mettere sullo stesso piano il diritto e il potere», giacché, in mancanza di un consenso comune, decide il più forte. È, però, insufficiente «se non si vuole cadere nell’illusione di ritenere che il diritto e la giustizia possano essere definiti all’interno di un astratto spazio prepolitico apriori», insomma fuori dalla storia e dal vissuto dei popoli, dai loro problemi concreti e dalle circostanze reali in cui si fanno e si applicano le leggi.
Dei fondamenti etici della legge, e dunque della sostanza dello stato, scrive, poi, Ernst-Wolfgang Böckenförde, insigne giurista tedesco contemporaneo, già Presidente della Corte Costituzionale tedesca, che individua nel riferimento al diritto naturale il fondamento della legittimazione del diritto positivo (le leggi), ma anche il criterio per le riforme e gli interventi migliorativi dell’impianto giuridico istituzionale di uno stato, oltre che del diritto di resistenza nei confronti dello stato medesimo, quando questi violi i diritti fondamentali (si pensi alle conseguenze di questo principio in rapporto ai grandi temi etici o al diritto all’autodeterminazione dei popoli).
Seguono numerosi altri interventi, utili a riaccendere un dibattito di cui la società e la politica hanno disperatamente bisogno per non scadere nella tragica banalità del male, lasciando libero campo alle forze che, in cambio di qualche poltrona, usano dei diritti dell’uomo per scardinarne i fondamenti antropologici ed etici.
Il diritto naturale, quaderno 225 di Communio. Rivista Internazionale di Teologia e Cultura, Milano (Jaca Book), settembre 2010, Eur. 11,50