Prima «l’amore alla giustizia, la tutela della vita dal suo concepimento al termine naturale, il rispetto della dignità di ogni essere umano» che «vanno sostenuti e testimoniati, anche controcorrente. I valori etici fondamentali – ha ricordato Benedetto XVI nel discorso di saluto ai partecipanti alla 25esima Conferenza internazionale per gli operatori sanitari – sono patrimonio comune della moralità universale e base della convivenza democratica». Poi, in occasione del concistoro per la creazione dei nuovi cardinali, l’attacco alla «dittatura del relativismo». Mentre tutti o quasi i quotidiani esaltano il “nuovo” Benedetto XVI dell’apertura al profilattico – sia pure in casi circoscritti, come quello di cui parla lo stesso pontefice nel nuovo libro intervista con Peter Seewald – il Papa non smette di richiamare i cristiani sulla verità del bene.



Il sussidiario ne ha parlato con l’economista, e presidente dello Ior, Ettore Gotti Tedeschi, a Madrid per il XII congresso su Cattolici e vita pubblica organizzato dall’Università Ceu San Pablo.

Presidente, come possono i diritti difesi dal Papa essere base di una «convivenza democratica» sempre più ispirata al pluralismo dei valori?



«Per capirci conviene esemplificare. Prendo spunto dal motivo per cui sono qui: spiegare la crisi economica alla luce della Caritas in veritate. Chiediamoci: che cosa non ha funzionato? Perché la dimensione economica si è a tal punto corrotta? Le stesse leggi positive sono realmente per l’uomo – e non contro di lui – se si rifanno a leggi di carattere naturale. L’uomo è creato da Dio, non si è fatto da sé. Le leggi naturali sono quelle inscritte nell’ordine della creazione. Ecco perché la dimensione sociale della fede è una dimensione totalmente razionale».

Secondo lei cosa intende Benedetto XVI quando parla di «dittatura del relativismo»?



«Viene prima la libertà o la verità? Tutte le volte in cui abbiamo messo la libertà davanti alla verità abbiamo fatto disastri. Se nella nostra condotta – come nelle leggi positive -prescindiamo dalle leggi naturali che regolano la vita dell’uomo e la sua convivenza, quello che faremo sarà contro l’uomo. È questa la sorte ineluttabile di una libertà che pretende di manipolare la verità delle cose. Lo stesso vale per le leggi economiche. L’economia non può ignorare i principi morali che regolano il comportamento umano».

E quali sono questi principi?

«La sacralità della vita. Dirò di più: la centralità economica della vita. È il mio chiodo fisso: se la vita non c’è, cioè se non nascono figli, lei capisce perfettamente che la crescita economica è unicamente dovuta al fatto che le persone che vivono – e che non crescono – consumino di più. Ma se la popolazione non cresce, i costi sociali sono destinati ad aumentare e con essi le tasse, che compensano la crescita dei costi fissi. Non potendo guadagnare di più del costo dei consumi, le persone come si soddisfano? Col debito. Ecco il paradosso che la gente non vuol capire. È anche il paradosso della razionalità della morale: che in questo è perfettamente “cartesiana”».

 

Perché la definisce cartesiana?

 

«Ma perché il misconoscimento della natura è “cartesiano” nella sua inesorabile consequenzialità».

 

La sua tesi sulla crisi è nota. Gli economisti la rimproverano di fare considerazioni di carattere morale e non economico.

 

«Sa cosa rispondo? Di carattere morale sì, ma la morale è razionale: lo dimostra il fatto che contraddicendo a queste leggi che voi chiamate “morali”, dando a questo termine un’accezione puramente soggettivistica, e che sono invece razionali, avete distrutto il ciclo dell’economia nel mondo occidentale. Col risultato che siamo diventati tutti più poveri».

 

Chi ha minato il riconoscimento che la morale – come lei dice – è logica?

 

 

«Cinquecento anni di pensiero occidentale, dalla riforma protestante fino al positivismo e al relativismo dei valori. Il grande messaggio sul quale non si insisterà mai abbastanza – e che risponde anche alla sua domanda iniziale sul relativismo – è che l’irrazionalità del comportamento umano si realizza quando si perde di vista la verità. Il riferimento fondamentale, unico, degli strumenti che l’uomo ha a disposizione è il progetto di Dio, la verità della fede. Solo nel rispetto di questo ordine si può attuare la carità nella verità».

 

Secondo lei dunque la grande crisi non è solo crisi economica, ma crisi di un modo di intendere l’uomo e i suoi valori.

 

«Stiamo ai fatti. Se l’uomo prescinde dalla verità, il prodotto è la crisi economica che abbiamo vissuto. In cui si è negata la verità – cioè la vita e lo sviluppo integrale dell’uomo – e le leggi dell’economia sono divenute fine a se stesse. L’uomo economico ha trasformato il mezzo in fine. Meglio: ha permesso allo strumento economico di assumere autonomia morale».

 

È proprio sicuro che un’etica laica non possa arrivare ad attuare -come lei dice – «la carità nella verità»?

 

«Può certamente farlo ma il risultato è tutto da vedere. Chiediamoci però che cos’è un’etica laica. Se prescindiamo dall’ordine naturale, cioè dal progetto di Dio nella creazione, quella che chiamiamo etica laica non è nient’altro che la riduzione della religione ad un’etica di comportamento: i dieci comandamenti meno il primo. Ma i nove comandamenti senza il riferimento a Dio ci portano al massimo ad elaborare etiche sociali legate ai tempi e alle mode. Cosa potrebbe voler dire “non rubare”? Rubare ai ricchi e agli speculatori perché sono stati a loro volta ladri. Non mi sembra una “conclusione” molto distante da una certa attualità».

 

Non basta però essere cattolici per fare il bene.

 

 

«Certo che no. Qui si apre un altro problema: quanto i cattolici siano sotto l’influenza della mentalità dominante o viceversa fedeli alla verità conosciuta. Negli ultimi trent’anni abbiamo fatto poca dottrina. Chi aveva la responsabilità di insegnarci la dottrina e magari invece ci raccontava metafore a sfondo economico e sociale? È anche questa l’emergenza educativa di cui parla il Papa quasi ogni giorno».

 

Lei ha detto di recente che «le casalinghe hanno salvato il mondo e l’Italia nel dopoguerra». Quali sono le scelte che aiutano la famiglia oggi?

 

«Favorire la famiglia è frutto innanzitutto di una scelta culturale: il valore della famiglia deve riconquistare le culture e i cervelli, contrastando i convincimenti attaccati dal relativismo e dal nichilismo dominanti. Il rapporto uomo-donna non può essere solo centrato nell’ottica del reciproco soddisfacimento, ma anche su quello della responsabilità, della costruzione di una famiglia e dell’educazione dei figli. Al tempo stesso occorre l’aiuto economico. La politica italiana è piena di parlamentari che sono stai eletti garantendo la tutela della famiglia e della vita ma che poi sono puntualmente “scomparsi”».

 

Qual è la sua proposta?

 

«Incentivare la formazione di famiglie con figli, mettendo con adeguati sgravi le coppie giovani in condizione di potersi sposare, e riconoscere un sussidio per ogni figlio mantenuto fino all’età, mettiamo, dell’università. Il problema dovrebbe essere gestito a livello europeo, proprio come avviene per il patto di stabilità che vincola ogni nazione europea ad un deficit non superiore al 3 per cento del Pil. Ci vorrebbe un patto di stabilità che riserva una quota di Pil nella famiglia».

 

E perché servirebbe l’Europa?

 

«Perché altrimenti noi da soli non lo faremo mai. In tal modo se non altro dovremmo rispettare un vincolo europeo. È la forza delle leggi. Se non ne siamo capaci chiediamo a qualcun altro di farle per noi».

 

(Federico Ferraù)