L’appello per porre fine ai segreti di Stato diffuso ieri dai mezzi di informazione è sottoscritto da persone di diverso ed opposto schieramento politico. Questo carattere corale mostra come la protesta contro la secretazione di documenti, oltre i trent’anni, denunci un uso abusivo, e quindi intollerabile, della necessaria riservatezza con cui vanno accolte e conservate informazioni e analisi di organi delicati come i servizi segreti o i ministeri dell’Interno e della Difesa.
Credo sia un eccesso, cioè una forma di “democraticismo”, pretendere che a tutti i cittadini sia consentito di accedere alla documentazione archivistica, e che i nomi che compaiono in rapporti riservati vengano resi di pubblico dominio. C’è una legge dello Stato (sul diritto alla privacy) che lo impedisce, per il rispetto dei cittadini magari coinvolti marginalmente o anche per errore in vicende delittuose.
C’è anche un’altra esigenza da salvaguardare: nell’esaminare carte di informatori, di spie, di agenti bisogna disporre di conoscenze storiografiche e di una capacità di ponderazione che presuppongono, oltre a un desiderio di deplorazione e di denuncia, una precisa cultura. I documenti non parlano da soli, bisogna essere in grado di interpretarli. Pertanto, non siamo tutti uguali nel momento in cui ne abbiamo la stessa uguale conoscenza.
Mi sembra, invece, opportuno chiedere al governo che l’enorme documentazione sull’Italia repubblicana, con particolare riferimento alle stragi, ad attentati, tentativi di colpi di stato ecc. esistenti all’estero – per fare qualche esempio, nei National Archives di Washington e Londra – sia esplorata da un picco lo gruppo di studiosi, e venga trasferita negli archivi italiani. A disposizione dei magistrati e degli studiosi.
Occorre, però, togliersi dalla testa più di un pregiudizio. In primo luogo quello, caro da una certa cultura di sinistra, secondo cui a tramare contro le nostre istituzioni e cercare di sovvertirle, finanziando gruppi di terroristi legati all’estrema destra neo-fascista, in funzione anti-comunista, siano stati i servizi di intelligence degli Stati Uniti, di concerto con quelli “atlantici”. Episodi di questo tipo ci sono stati ad opera di qualche settore dell’intelligence militare, come è stato documentato dai magistrati della regione del Nord Est (soprattutto in Veneto).
Non c’è ragione di tenerli nascosti, ma non è il caso di scambiare la parte con il tutto. Voglio dire che a impedire l’accesso dei comunisti al governo, a ragione o torto, sono stati anzitutto gli elettori italiani dal 1946 ad oggi, e non interferenze o pressioni dei nostri alleati. Né avrebbe senso dimenticare che il comunismo, in tutte le sue varianti, proprio per la sua natura totalitaria (forse peggiore del fascismo e del nazismo), è stato un pericolo incombente, direi il maggiore dopo il 1945, per tutte le democrazie occidentali. Combatterlo, isolarlo, sventarne le manovre, è stato un impegno sancito da accordi internazionali, e non una sorta di vizio solitario dei governi italiani. Se vogliamo renderci conto del carattere di marca di frontiere del nostro paese negli anni della Repubblica, dobbiamo ragionare sul fatto che è stato oggetto di incursioni, scorrerie, operazioni di ogni genere da parte del terrorismo arabo-palestinese.
In più occasioni, oltreché nella sua recente intervista con Luigi Fasanella, il giudice Rosario Priore ha rilevato come nelle principali stragi da cui è stato funestato il nostro paese sia presente la mano, e non solo l’ombra, del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina diretto da George Habbash. Non si capisce nulla della strage di Bologna, come di Ustica, come dell’attività delle Brigate rosse italiane e tedesche, per fare qualche esempio, se non si esaminano le azioni di questo terrorismo. Esso era strettamente legato alla primula rossa Carlos. Entrambi si muovevano nella sfera degli obiettivi politici e degli interessi di stato del servizio segreto sovietico, il Kgb. A sua volta, l’intelligence sovietica aveva un’estesa diramazione nei paesi del Patto di Varsavia come nei gruppi guerriglieri di mezzo mondo.
I governi italiani hanno stabilito un accordo, il cd “lodo Moro”, con Arafat e Habbash, per evitare che il nostro paese diventasse teatro della guerra tra palestinesi ed israeliani, e per spuntare condizioni favorevoli nelle forniture di petrolio. Il traffico di armi, anche a favore del terrorismo brigatista, in Italia ha avuto come epicentro e veicolo il terrorismo palestinese. ecco perché sarebbe opportuno, e necessario, che l’enorme documentazione esistente negli archivi di Mosca, come di Praga, come di Berlino, Sofia ecc., venisse finalmente acquisita ed esaminata dagli studiosi.
Bisogna,dunque, saper guardare da tutte le parti, senza opzioni privilegiate e pregiudizi, abbandonando la bizzarra idea che ci sia stata una “eversione atlantica” di cui l’Italia sarebbe stata vittima più o meno inconsapevo-le, mentre dall’Europa dell’Est non sarebbe venuto alcun pericolo.
La premessa di questa consultazione degli archivi, da Est a Ovest, è che siano resi accessibili i documenti più facilmente disponibili. Mi riferisco a quelli secretati (sono molti) che le Commissioni parlamentari di inchiesta (sulle stragi e sul dossier Mitrokhin) non hanno avuto il coraggio (o forse solo l’intelligenza) di de-classificare.
Anche gli archivi riservati del ministero dell’Interno come quelli del ministero della Difesa e dei servizi segreti dopo 30 anni devono diventare accessibili, una volta accertato che non contengono nulla che possa mettere in pericolo la nostra sicurezza. La stessa richiesta va rivolta all’Arma dei carabinieri. Esercita funzioni di intelligence, oltreché di prevenzione e di repressione, in tutti i comuni d’Italia (la polizia opera, invece, su un teatro provinciale) mi pare fin dal 1814. Ebbene, ciò malgrado, i suoi archivi sono blindati, inesplorabili o vengono pervicacemente distrutti. L’offesa inferta alla ricerca storica e alla magistratura è di proporzioni incalcolabili.
Per intenderci, noi storici siamo costretti a lavorare quasi esclusivamente su una fonte altamente politicizzata come le carte di polizia. Possibile che il comandante dei carabinieri, come il ministro della Difesa non avvertano lo scandalo, e la vergogna, di questa situazione? I pretesti per occultare gli archivi citati sono stati, e continuano ad essere, ridicoli o per nulla convincenti.
Come si può celebrare il 150 anniversario dell’unità d’Italia quando siamo ancora nell’impossibilità di accedere a fonti preziose del nostro passato? Il nostro passato rimane come un arto monco, ancora sconosciuto. Ma è anche la domanda angosciosa di giustizia di migliaia di vittime e dei loro parenti. È venuto il momento, dopo la sentenza sulla strage di Brescia, di ribellarsi a questo destino di periferia del mondo civile.