È stata una sorpresa vedere come il Censis nel suo Rapporto annuale trovasse la causa della fatica del vivere e dell’immobilismo del paese nel fatto che gli uomini abbiano smesso di desiderare. Sorpresa perché è un’ulteriore conferma della bontà della provocazione culturale che il Meeting di quest’anno ha proposto a tutti con il tema del desiderio. Sorpresa perché è proprio vero. È proprio vero che l’uomo ha smesso di desiderare. E forse è anche inevitabile.
Tutti infatti ci dicono che la vita sarà per sempre dominata dall’incertezza, tutti ci dicono che i nostri desideri più profondi sono illusioni, nulla più. Lo stesso Rapporto nelle considerazioni finali parla di “un’oggettiva insecuritas come cifra del mondo moderno”. Perché quindi dovremmo desiderare? Anche noi corriamo il rischio ogni giorno di essere parte, anzi di contribuire a “quell’Italia appiattita che stenta a ripartire”, a “quell’inconscio collettivo senza più legge né desiderio”, “soppiantati dalla delusione”. Come dice il recente volantino di Comunione e Liberazione: “L’esperienza ci mostra, invece, che il desiderio può appiattirsi se non trova un oggetto all’altezza delle sue esigenze”.
Qual è la ragione per cui dovremmo riprendere a desiderare cose grandi? Quest’anno al Meeting abbiamo visto uomini. Si uomini, avete capito bene, ma non uomini delusi ,come li descrive il Rapporto, ma uomini concretamente all’opera, capaci di investire sul desiderio proprio e altrui. Fatti, volti, storie che hanno dimostrato l’evidenza che il desiderio del cuore è la scintilla che accende il motore di qualunque azione umana, dal lavoro all’impresa, dalla conoscenza scientifica alla creatività artistica, dalla politica all’impegno sociale.
Ben venga allora la ricerca del Censis, ma purché sia l’occasione di rinascere. Come ha detto il filososo Fabrice Hadjadj al Meeting (riportato nel libro Il cuore desidera cose grandi edito da Rizzoli): “Per desiderare di rinascere, bisogna in primo luogo riconoscere che si è morti (…).”
E allora che il rapporto del Censis sia l’occasione per prendere coscienza che anche noi corriamo il rischio di “essere morti”.
Le circostanze possono assopire o schiacciare il desiderio, ma niente e nessuno lo può estirpare. Per questo l’invito del Censis è realizzabile, è una bella provocazione, perché anche la situazione politica e economica italiana più disastrata non potrà togliere all’uomo il desiderio di qualcosa di grande.
Ma come può avvenire allora la resurrezione? L’invito del Censis non ci basta. Ci è ancora d’aiuto l’amico francese Hadjadj: “Bisogna che noi rischiamo la nostra vita per la bellezza, la verità dell’incontro e del desiderio”. Questo è il nostro desiderio. Questo significa essere uomini e non ridurre il nostro cuore ad un sentimentalismo istintivo, come quel gatto che visto un altro gatto che si schianta al suolo, rimane un po’ lì; lo guarda un poco ma poi se ne va, come racconta Giussani nel suo testo Si può vivere così.
Il miracolo del Meeting di quest’anno è che il desiderio dell’uomo si è manifestato, era vivo e vegeto, come esigenza di libertà, bisogno di positività e cambiamento, tensione a una rinascita dell’umano, come voglia di una ripresa della vita sociale, economica e politica. E allora l’unica possibilità è continuare a guardare a questi uomini capaci di cose impensabili, come Frank, l’indiano del Canada, che dopo avere subito abusi sessuali da un prete ritorna al cristianesimo per l’incontro con un altro prete, uomini come quegli imprenditori raccontati nella mostra sulla crisi economica, che hanno avuto il coraggio di continuare a desiderare quando la realtà era contro ogni desiderio, come Maria Teresa, ricercatrice americana che vive il lavoro come occasione “per capire che cosa desidero e chi può rispondere veramente a questa sfida”. Caro Censis, un’Italia che desidera c’è.