Il nome di Solzenicyn è ancora abbastanza noto in Occidente, anche dopo la morte nell’agosto 2008, perché lo si ricorda come un grande scrittore ma anche come un polemista, un’autorità morale indiscussa dell’epoca comunista e post-comunista. Insomma, Solzenicyn è stato qualcosa di più di un grande scrittore, è stato un «protagonista» la cui vita si è dipanata come un vero romanzo, tutta immersa in eventi epocali, anzi talvolta al centro di essi.
Milioni di suoi compatrioti hanno vissuto gli stessi sconvolgimenti (rivoluzione, guerra, repressioni staliniane, caduta del comunismo), ma quello che fa la differenza è la consapevolezza straordinaria, lo «sguardo d’insieme» che Solzenicyn ha saputo affinare, grazie al fatto di aver attraversato questo segmento di storia senza mai smettere di interrogarsi.
Questo è almeno un primo motivo che spiega perché la sua biografia (uscita in agosto presso la casa editrice San Paolo) superi le mille pagine: l’autrice Ljudmila Saraskina ha voluto raccogliere tutte le informazioni attingibili per ricostruire il quadro complesso di un’esistenza personale indissolubilmente legata a un’epoca cruciale come quella sovietica (le due hanno coinciso quasi perfettamente dal punto di vista cronologico): Solzenicyn è stato coetaneo, figlio e giudice della rivoluzione d’Ottobre; parlare dell’uno significa necessariamente introdurci all’altra.
Dicevamo una vita avventurosa come un romanzo, dove è evidente, e Saraskina ha saputo coglierlo molto bene, che tutto, dal dettaglio più insignificante fino ai grandi eventi, ha avuto un suo significato insostituibile ed eterno. Se hanno avuto, comprensibilmente, un ruolo importante la morte precoce del padre (che ne ha fatto un punto di riferimento lontano ma inalterabile), il lager e il tumore maligno che gli hanno capovolto la vita, lo ha segnato anche ogni piccolo incontro quotidiano.
Attraverso tutto questo è passato il filo rosso della vocazione di scrittore, che lui ha riconosciuto come voluta dall’alto, e alla quale ha obbedito, impegnandovi tutte le proprie immense energie. Gli spunti di riflessione offerti dal libro sono dunque infiniti, e tutti carichi di un significato universale.
Interessante, per esempio, come l’autrice fa emergere il tentativo volontaristico di Solzenicyn di «costruire» la propria vita secondo un progetto perfetto e un po’ spietato (persino gli incontri con la fidanzata sono cronometrati per non togliere tempo allo studio), tentativo che finisce in nulla per i colpi inattesi della sorte (la guerra, l’arresto): è il naufragio di una «carriera» da cui Solzenicyn rinasce però come un uomo religioso.
In questo «mare magno» in cui la personalità di Solzenicyn si muove, c’è un altro spunto molto interessante che è quello del «contesto» in cui lo scrittore ha vissuto: da una parte è vero che tutta la sua azione così energica è stata determinata dalla resistenza dell’ambiente totalitario totalmente ostile, contro il quale ha dovuto lottare incessantemente fuori e dentro di sé; dall’altra appare altrettanto evidente che è esistita una moltitudine di «persone» nel vero senso del termine, capaci di amore, responsabilità e sacrificio, senza i quali Solzenicyn non sarebbe mai diventato quello che è diventato.
In segno di gratitudine lui ha scritto un libro su di loro, gli invisibili li ha chiamati; sono coloro che, a vario titolo, lo hanno sostenuto, difeso, consigliato, amato gratuitamente. E sono la prova evidente che l’umanità è fragile preda delle ideologie e della sete di potere, ma che è anche irriducibile persino ai più pesanti condizionamenti culturali, là dove emerge dentro di lei il nucleo solido, quello che Solzenicyn chiama l’anima, rappresentato dall’immagine e somiglianza di Dio. È un affresco inatteso dell’URSS totalitaria quello che emerge alla fine nel libro; un quadro inquietante, ma che parla anche di libertà interiore e di responsabilità. Come dire, il frutto sofferto ma incoraggiante di un secolo tragico come il ‘900 è che, nonostante tutto, l’uomo si è conservato uomo.