«Mi ha colpito, perché non avevo mai riflettuto sul desiderio in questi termini e quello che qui si dice del desiderio mi convince perfettamente. Il desiderio non c’è più e questo è alla radice dei nostri problemi».
Paola Mastrocola, scrittrice e insegnante, parla con il sussidiario dell’ultimo volantino di Cl, che mette a tema la crisi del desiderio, dopo che il Censis ha lanciato l’allarme sulla sua eclissi privata e pubblica, esortando il paese a «tornare a desiderare» per uscire dalla crisi che l’opprime.
«Il dramma di oggi è che non desideriamo più – continua Mastrocola -. C’è desiderio quando a noi manca qualcosa. Oggi invece non siamo più mancanti: siamo dominati da una sazietà che ci ha tolto la forza di desiderare, di creare, di fondare qualsiasi cosa. Non fondiamo più nulla, a parte degli insulsi partiti».
Vede più questa crisi del desiderio come un fatto generazionale, oppure essa accomuna tutti?
«Penso che sia addirittura più grave negli adulti. I giovani, è vero, sono i nostri figli e riflettono la nostra mancanza di desiderio, ma la gravità è tutta nostra, perché siamo noi adulti che dovremmo fondare e creare e volere, invece non vogliamo più nulla. Non sperimentiamo più quella mancanza che farebbe vivere il nostro desiderio. A scuola tutto questo è evidente: i giovani dovrebbero sentire l’ignoranza come una mancanza di sapere, e quindi soprattutto desiderar di sapere. Invece, purtroppo, avviene il contrario».
Lei è scrittrice. «Se la vita ci soddisfacesse – ha detto la scrittrice americana Flannery O’Connor – fare letteratura non avrebbe alcun senso».
«È vero. Se non fossimo sazi, allora sì che ci rimetteremmo a scrivere, a creare, a studiare, a insegnare. Noi insegnanti non desideriamo più veramente insegnare, a scuola preferiamo fare altro. Ecco perché dicevo che la mancanza di desiderio è più grave negli adulti».
Chi o che cosa – si chiede il volantino di Cl – può ridestare il desiderio?
«Dobbiamo ritrovare virtù come la parsimonia, la misura, la modestia. Occorre una nuova “povertà”. Se avessimo di meno, saremmo più consapevoli di noi stessi e delle nostre esigenze e questo faciliterebbe il desiderio».
Si suggerisce un metodo: che abbandonando ogni pretesa ideologica, sottomettiamo la nostra ragione all’esperienza. Che guardiamo persone capaci di costruire, persone cioè nelle quali l’operosità nasca dal desiderio. Che ne dice?
«Se abbiamo un modello, sì, dobbiamo seguirlo. Non so francamente se questo metodo per “contagio” sia in grado di funzionare. Vedere il buono che c’è intorno a noi? Mi pare francamente un po’ poco. Il rischio è quello di rifare un discorso buonista, generico. Occorre invece che la risposta sia nostra. Innanzitutto nostra».
Il volantino dice che anche la Chiesa non può oggi chiamarsi fuori dalla sfida dell’esperienza. «Non potrà limitarsi ad offrire un riparo assistenziale per le mancanze altrui, dovrà mostrare l’autenticità della sua pretesa di avere qualcosa in più da offrire».
«Mi pare difficile che in questo momento il mondo cristiano abbia qualcosa in più da offrire. Lo vedo anzi molto debole, in difficoltà. Io poi non sono la persona più adatta a parlarne, perché non mi riconosco in questo mondo. Per me la Chiesa non è una risposta».
Torniamo ai giovani. Saviano su Repubblica ha scritto una lettera ai manifestanti che hanno scatenato in piazza la guerra al governo. «…e la rabbia dove la metti? La rabbia di tutti i giorni dei precari, (…) la rabbia di chi non vede un futuro. Beh quella rabbia, quella vera, è una caldaia piena che ti fa andare avanti, che ti tiene desto, che non ti fa fare stupidaggini ma ti spinge a fare cose serie, scelte importanti». Ha però condannato il cattivo desiderio di chi «finito il videogame a casa, continua a giocarci per strada». Lei che ne pensa?
«Quello che ho visto mi ha ricordato i peggiori anni Settanta, mi ha ricordato la folla del Manzoni. Queste manifestazioni collettive sono sempre uguali e celebrano solo se stesse. Le ragioni cambiano, ma sono solo un pretesto. La mia condanna è totale. Condanno soprattutto il vittimismo dei nostri giovani, il sentimento di sentirsi sempre vittime di qualcun altro, della società, del potere, e di rivendicare sempre e soltanto diritti.
Diritti cioè senza doveri?
«Senza doveri. Senza mai porsi in questione, senza considerare quello che c’è intorno, senza vedere il mondo in crisi nel quale ci troviamo. Una rivendicazione violenta di diritti col desiderio non ha nulla a che fare. Il desiderio è una mancanza profonda, a cui è sempre l’individuo in prima persona a dover trovare una soluzione. Che questa sia interiore o esteriore, paradossalmente non importa, ma sta a lui trovarla. È vero: la rabbia di cui parla Saviano è un motore che dovrebbe portarci a fare grandi cose. Io però preferisco chiamarla insoddisfazione».