Tra le opere d’arte che più hanno sollecitato la ragione umana ad avvicinare il mistero del Natale spicca, sicuramente, la cosiddetta Madonna Sistina di Raffaello. La pala, interamente autografa, fu realizzata a Roma intorno al 1512, e reca, nelle vesti del santo, la figura dello stesso papa, Giulio II, che l’aveva commissionata. Monumentale e sofisticata invenzione, carica di slancio, delicatezza e sensibilità, coglie il sicuro irrompere della grazia divina nella storia, per la salvezza dell’umanità.
Venduta nel 1754 al principe Augusto III di Sassonia, l’opera fu accolta dalla Pinacoteca di Dresda. Tra i primi ammiratori, Johann Winckelmann fu conquistato dallo splendore di Maria: «con quel viso – sono le sue parole – pieno d’innocenza e insieme di grandezza». L’impressione fu confermata da Goethe, che in una poesia del 1808 definì la Madonna Sistina «regina delle madri»: grazie a Lei, infatti, come avrebbe evocato con l’epilogo del Faust, nel Natale di Cristo l’irraggiungibile – desiderato e atteso da sempre – viene a compimento, e ciò che pareva ineffabile diventa realtà.
Nel 1857 Tolstoj, visitata la Pinacoteca di Dresda, annotò nel suo diario: «una Madonna mi ha profondamente colpito». E volle perciò collocare, nel suo studio, una riproduzione della pala di Raffaello, donatagli dalla zia Aleksandra Andreevna. Tuttavia, trascorso quasi mezzo secolo, in un intenso colloquio con il teologo Sergej Nicolaevic Bulgakov, sembrò aver mutato opinione: «L’ho consumata con gli occhi, non ci ho trovato nulla. E che: una ragazza ha partorito, una ragazza ha partorito un bambino, tutto qui, che c’è di strano?».
Al di sotto della provocazione che le ispira, queste parole sigillano il significato più autentico del Natale cristiano: il Dio fatto uomo a Betlemme, incontrabile e riconoscibile secondo il segno profetizzato da Isaia (7,14). Una presenza nella storia: «un bambino avvolto in fasce» (Lc 2,12). Che c’è di strano?
La risposta si ricava dalle Note autobiografiche dello stesso Bulgakov, che, a Dresda con la moglie nel 1898, era rimasto folgorato dallo spettacolo della Madonna Sistina: «D’improvviso, inatteso, l’incontro miracoloso. Tu stessa, Madre di Dio, toccasti il mio cuore ed esso tremò al tuo richiamo. […] Mi penetrarono l’anima gli occhi della Regina celeste che scendeva dal cielo con il Bambino eterno. C’era in essi la smisurata forza della purezza e del sacrificio accettato con preveggenza, la conoscenza della sofferenza e la disponibilità a offrirsi volontariamente. […] Non era un’emozione estetica, era un incontro, una nuova conoscenza, un miracolo. Io, allora marxista, involontariamente chiamai questa visione preghiera».
Il Natale è l’Eterno fatto bambino. Il paradigma che si sprigiona dalla notte di Betlemme riconduce la felicità dell’uomo all’origine del suo destino. Disponibilità a offrirsi volontariamente: le parole di Bulgakov vibrano per l’eco del Magnificat.
Né troppo dissimile fu l’esperienza di Dostoevskij, giunto a Dresda con la moglie Anna il 20 aprile 1867. «Mio marito – racconta Anna – percorse tutte le sale senza fermarsi e mi condusse direttamente dinanzi alla Madonna Sistina. Egli considerava questo quadro come il più grande capolavoro creato dal genio umano. In seguito lo vidi fermo per ore intere davanti a quella visione di bellezza impareggiabile, che egli ammirava con tenerezza e trasporto. […] La mia impressione fu grandissima: mi parve che la Madre di Dio, col bambino in braccio, volasse incontro a chi le si avvicinava. […] L’immagine della Madre di Dio, con quel suo sorriso dolce e pieno di benevolenza, mi riempì l’animo di tenerezza ed ero proprio commossa».
La bellezza della notte di Natale è – per Dostoevskij – quella di un sorriso che si apre sul mondo, volando incontro al cuore dell’uomo. Fino a placarne l’irrequietudine, risolverne la perplessità, scuoterne il torpore: come si legge nel romanzo L’adolescente (dove, non a caso, una grande incisione del capolavoro di Raffaello compare nel salotto della famiglia Versilov). Il Verbo di Dio fatto carne è la risposta alla tristezza e al tormento dei secoli senza Verità.
Ma l’intuizione più sconvolgente, maturata al cospetto di tale quadro, è forse quella che Vasilij Grossman ha sintetizzato nel racconto La Madonna a Treblinka. Natale è una giovane madre che tiene in braccio un bambino; è Dio che rende il suo misterioso volto presente tramite la forza spirituale della maternità. «Un sentimento sconosciuto si affaccia, mai provato prima – qualcosa di umano e di nuovo, come emerso dalle aspre e salate profondità del mare – e il cuore si smarrisce per l’improvviso prodigio». Una madre e un bambino: spalancati a ciò che li attende. «Vedono forse la collina del Golgota, la strada pietrosa e polverosa, l’orrenda, corta, pesante e rozza croce che opprimerà quella piccola spalla ora riscaldata dal tepore materno. […] La nostra epoca, osservando la Madonna Sistina, vi riconosce il proprio destino».
La conclusione di Grossman è il vero regalo di questo e di ogni Natale: «La giovane madre ha dato alla luce il suo bambino nel nostro tempo». Ogni volta che un bambino viene nel mondo, è Cristo che nasce e trionfa. «La meravigliosa, serena forza di questo quadro consiste nel fatto che esso esprime la gioia di essere creature viventi su questa terra. […] Anche nelle epoche più terribili la distruzione della vita non significa la sua sconfitta».
Simile testimonianza, maturata sulle ceneri dei campi di sterminio e di prigionia, è un inno alla gioia della vita, resa invincibile, nel Natale, a dispetto del dolore e dell’angoscia, e concorda, singolarmente, con quella del Santo Padre. «Ovunque possiamo cadere, cadiamo nelle sue mani. Proprio là, dove nessuno può accompagnarci, ci aspetta Dio: la nostra vita». Per questo è Natale, sempre. Perché la Madonna e suo Figlio sono in mezzo a noi.