«Per trionfare contro i suoi nemici esterni, la Chiesa deve prima sconfiggere un nemico interno: il relativismo. Tanto più pericoloso in quanto è un avversario sorridente e la cui arma non sono gli attacchi diretti, bensì l’indifferenza». E’ la riflessione di Massimo Franco, notista politico del Corriere della Sera, che ha presentato per IlSussidiario.net il suo nuovo libro dal titolo «C’era una volta un Vaticano».
Partiamo dal titolo. Che ne è stato del Vaticano, dopo la fine del comunismo?
Intanto insisto sul fatto che il titolo è «C’era una volta un Vaticano» e non «il Vaticano». Quello che è finito è il Vaticano plasmato dalla Guerra fredda e che rappresentava l’egemonia dell’Occidente che non c’è più. Un Vaticano che era capace di orientare gli elettorati, e abbiamo visto che in Italia non è più così. Con una pedagogia che tutte le opinioni pubbliche accettavano, anche se non condividevano. Il ritardo lo vedo per questo motivo soprattutto. Il Vaticano, durante il lunghissimo pontificato e poi la lunga malattia di Giovanni Paolo II, ha un po’ sottovalutato che è cambiato il paradigma mondiale. Con il crollo del comunismo è venuto meno il nemico storico, percepibile, chiaro, ideologico.
Nel frattempo la Chiesa è stata attaccata per lo scandalo pedofilia…
E’ stato l’11 settembre del Vaticano. Ma è stato un sintomo, e non la causa della crisi. Lo scandalo della pedofilia scoppiato a Boston nel 2002 era stato interpretato dal Vaticano come un problema americano, con il risultato che si è riproposto dopo sette anni come un problema mondiale, dimostrando che quella americana era l’avanguardia di un grande cambiamento. le opinioni pubbliche occidentali non accettavano più, finita la Guerra fredda, di considerare la pedofilia come un peccato, ma era un reato. E quindi non poteva più essere considerato come un problema privato interno alla Chiesa.
Come vede questa crisi di fronte a due sfide come il relativismo e l’islamismo?
Se il Vaticano non riesce a fare i conti con il primo, difficilmente potrà risolvere il secondo. Una delle sfide principali è stato il nuovo ruolo della Chiesa in un Occidente laicizzato e che senza l’alibi della Guerra fredda aveva di fronte una secolarizzazione che si dispiegava in tutta la sua potenza. Prima quindi il cattolicesimo deve ridefinire l’identità del suo mondo, e quando l’avrà ridefinita potrà affrontare una sfida esterna in modo più chiaro. Secondo me le due sfide vanno di pari passo, ma l’avversario più pericoloso non è quello, minaccioso, dell’islamismo, bensì quello, sorridente, del relativismo che non attacca la Chiesa ma fa leva sull’indifferenza. Sicuramente ci sono delle forze che combattono la Chiesa. Però lo fanno sfruttando le debolezze al suo interno. E quindi ha ragione Benedetto XVI a dire che i primi nemici sono dentro la Chiesa e non fuori.
E la Chiesa sta rispondendo adeguatamente?
Benedetto XVI lo ha fatto creando un nuovo ministero per rianimare il cattolicesimo in Occidente. Il problema è che il pontificato di Giovanni Paolo II, che determinato il trionfo sull’ideologia comunista, ha un po’ trascurato i nuovi problemi che si affacciavano sullo scenario mondiale, perché alla fine tutti erano concentrati su questa lunga malattia. Benedetto XVI quindi si è trovato ad affrontare problemi lasciati marcire per moltissimi anni. Problemi di governo, problemi legati alla presenza della Chiesa in un Occidente totalmente cambiato.
E la politica cosa c’entra con tutto questo?
In Italia la Chiesa non vince le elezioni dal 1994. Berlusconi, Bossi, lo stesso Prodi, non devono niente alla Chiesa. Quindi è cambiata anche la presenza della Chiesa in politica. I vescovi poi hanno fatto di necessità virtù, ma l’opinione pubblica sul piano elettorale non basa le sue scelte su quello che dice la Chiesa. Finché c’era la Guerra fredda, la Cei poteva aggrapparsi all’unità politica dei cattolici, affermando di rappresentare il più grande partito politico e il centro del Paese. Oggi le ragioni storiche per le quali serviva l’unità politica dei cattolici è venuta meno. Non solo, il sistema maggioritario ha rappresentato la fine della cultura inclusiva della Chiesa, imponendo un aut aut da rottura referendaria. Per la Chiesa è stato un dramma, perché non poteva schierarsi con il centrodestra o con il centrosinistra. Quindi la Chiesa nel ’94 ha dovuto scegliere di volta in volta che posizione di sistema assumere. Ed è passata quindi dall’equidistanza di Ruini, a una sintonia col centrodestra, che spesso è parsa anche subalternità.
Come vede gli inviti di questi mesi a una nuova generazione di politici cattolici?
Sono segni dell’insoddisfazione della Chiesa cattolica per quello che vede, ma anche segnali di impotenza. Perché la posizione della Chiesa, che di recente ha cercato di valorizzare i cattolici di entrambi gli schieramenti, è stata una politica velleitaria. Si è visto che nei momenti cruciali prevale la logica di schieramento sull’identità cattolica.
Come si pone la Chiesa di fronte alla nascita del terzo polo?
Con un certo scetticismo, perché da una parte non si fida di Fini, quindi ritiene che questa alleanza possa inquinare l’Udc, considerata come il partito in cui ci sono molti cattolici. E inoltre perché con questo sistema elettorale sanno che il terzo polo potrebbe non andare lontano.
La soluzione potrebbe essere una sorta di riedizione in chiave italiana del Partito popolare europeo?
La Chiesa vedrebbe bene un Ppe in versione italiana, anche se deve essere chiaro che non significhi un ritorno alla Dc. Perché la Chiesa non ci crede e sa che il Paese non lo accetterebbe. Non si ripetono le esperienze storiche che sono state legate a un particolare periodo storico. E poi non bisogna dimenticare che la Chiesa ha un atteggiamento ambivalente verso le istituzioni europee, perché da una parte le vuole e le ha promosse, ma dall’altra le sente un po’ ostili. E questo preoccupa anche alcuni Partiti popolari europei. In un momento in cui l’Europa è in affanno, c’è il timore che se la Chiesa ha un atteggiamento di freddezza nei confronti dell’Europa questo possa peggiorarne i problemi.
Che cosa ne pensa del fatto che Bertone ha partecipato all’anniversario della breccia di Porta Pia?
L’importante è che non sia interpretato come un gesto di relativismo storico. Più che altro, il suo significato è un gesto di distensione e di riconciliazione. Del resto oggi la Chiesa è il principale referente della Repubblica italiana e dell’Unità d’Italia. Oggi Napolitano ha proprio nella Chiesa un alleato fondamentale per mantenere l’unità del Paese. Mai come in questo periodo vediamo un cattolicesimo tricolore.
(Pietro Vernizzi)