Ho scritto questo libro, Padre, per raccogliere il succo dell’esperienza educativa di questi ultimi venticinque anni della mia vita, dedicati quasi interamente all’educazione di giovani verso il sacerdozio e alla guida di piccole comunità sacerdotali sparse per il mondo. Ho sentito la necessità di raccogliere il frutto di questa esperienza per offrirlo a quanti, preti e non, fossero interessati ad ascoltarla.



Il libro è un racconto, quasi un’autobiografia. Ma non vi si trovano particolari della mia esistenza, quanto piuttosto una traccia di riforma per la vita sacerdotale.

Girando per il mondo ho visto figure di preti affascinanti che hanno creato attorno a sé comunità e opere. Ho visto anche sacerdoti stanchi, delusi. Mi sono chiesto: come può una vocazione così interessante cadere in un’espressione così limitata di vita? È perché essa ha perso le sue radici.



In questo testo dunque mi sono occupato delle radici della vita sacerdotale. Così ho scritto un libro che può essere letto da chiunque, perché, in fondo, le radici della vita sacerdotale sono le radici di ogni vita cristiana, sono le strade che possono affascinare ogni uomo.

Ho visto preti uccisi dall’attività, senza un minuto per prendere fiato, per riposare, per recuperare il senso di quel che facevano. Per questo il primo capitolo del libro, il più lungo, è dedicato al silenzio. Chi vorrà leggerlo noterà che il silenzio non è l’assenza di parole, di suoni e di immagini, ma la scoperta di uno sguardo più profondo, di un ascolto più vero.



 

Poi parlo della preghiera e della liturgia. Della compagnia che i Salmi fanno alla vita dell’uomo, ma anche della banalizzazione di certe celebrazioni liturgiche. Parlo di alcune nuove chiese in cui è difficile pregare, parlo del canto e dell’insegnamento di Benedetto XVI a questo riguardo.

Ho trovato sacerdoti che non leggono e non studiano più. Per questo ho voluto dedicare un po’ di spazio all’importanza dello studio. In ogni età della vita occorre continuare a leggere, a meditare, ad arricchire il tessuto della nostra riflessione, della nostra visione del mondo.

Infine la parte più cospicua del mio libro è dedicata alla vita affettiva del sacerdote. Molti preti sono soli. Dopo una giornata affannosa e piena di responsabilità tornano a casa e spesso hanno solo il televisore con cui “parlare”. In molte pagine ho spezzato una lancia a favore dell’amicizia, sia dell’amicizia tra sacerdoti, sia di quella con i laici.

 

Nella Chiesa si ha ancora molta paura dell’amicizia. Le amicizie morbose e negative, che non sono perciò propriamente neppure amicizie, non devono chiuderci al valore essenziale di quei legami di preferenza che aprono all’amore per gli altri e ci aiutano a capire chi sia Dio. Paternità e figliolanza sono due esperienze fondamentali nella vita dell’uomo, perciò anche in quella del sacerdote. La gente chiama il prete: “padre”. Ho voluto fermarmi su questo fatto, sulla bellissima esperienza di paternità che vedo vivere in tanti preti, perché hanno aperto il proprio cuore alla figliolanza verso qualcuno che li guida e li aiuta.