Il libro di Paolo Sanvito Imitatio. L’amore dell’immagine sacra (Zip, 2009) è una monografia sulla funzione storica dell’Imitazione di Cristo, una pratica corrente nella devozione cristiana almeno a partire dalla celebre frase evangelica: «Qui non accipit crucem suam et sequitur me non est me dignus» (Matteo 10,37); e di conseguenza sui suoi effetti nelle rappresentazioni delle azioni devote sin dal periodo medievale.
Una pubblicazione siffatta costituiva ancora una lacuna nel panorama degli studi, che essa così – sperabilmente – colma. Infatti, nonostante alcune importanti ricerche fossero già state svolte sulla storia e la portata delle riforme del monachesimo europeo in senso rigoristico e pauperistico (anche sulle più antiche, come per esempio quella cistercense), mancava anche una preistoria di questo fenomeno in tutto il periodo medievale. Al contrario, perfino gli studi rinascimentali a loro volta avevano spesso analizzato solo specifici casi isolati di riviviscenza del concetto di imitazione devota, tuttavia senza ancora fornire un quadro generale in questo senso e aprire l’orizzonte su alcuni fenomeni cruciali: tale per esempio l’importanza della preghiera, o in altri casi, più specificamente, dell’ascetismo, entrambe sempre funzioni motrici della creazione artistica, che fosse dal punto di vista degli artisti o dei loro committenti.
Un contributo del tutto nuovo nel libro è la rivelazione di Nicola Cusano, come il teologo rinascimentale principale nello sviluppo della teoria dello sguardo, quale era destinata a dominare per secoli la comprensione e la definizione artistica della visione, anche attraverso il rinnovamento dell’ottica che avveniva contemporaneamente a lui, con il perfezionamento delle tecniche prospettiche.
Nella sezione seconda del testo, a partire da pag. 159 un capitolo centrale, il quarto, considera un’ampia selezione di committenze istituzionali di arte sacra e raccoglie le conoscenze documentarie attualmente disponibili, ma ampliandole e integrandole. Il quinto analizza, coerentemente, alcuni caratteri iconografici specifici ai temi sacri, in alcuni casi i loro aspetti distintivi: l’uso della rappresentazione visiva dello sguardo, che è un soggetto di prima importanza per l’iconografia della pittura, per di più finora incomprensibilmente misconosciuto; o l’atto, di certo non solo specifico di Cristo, di trasportare la Croce in spalla; o l’uso della rappresentazione di figure sacre o profane esclusivamente in funzione della loro efficacia di “mediatrici” tra spettatore/committente ed Essenza divina.
Uno dei contributi più nuovi del saggio è infine la collazione e valutazione delle fonti dell’Inquisizione cinquecentesca, nelle sue varie riprese tra l’Index milanese e quello romano fino al 1600. Tale bagaglio di conoscenze ricorre in più punti dello studio, con funzione di supporto dimostrativo e documentario alle teorie esposte.
Imitatio è d’altronde il riflesso di alcuni studi storici avanzati da un paio di decenni, che dapprima in Europa e poi in America si sono interessati al rapporto tra cultura materiale e pratica devota. Non solo l’attuale antropologia dell’immagine, per esempio con Georges Didi-Huberman o Hans Belting, ma anche la più affermata storia della cultura materiale (sin dalla Scuola parigina degli Annales, da Febvre fino agli ultimi rappresentanti, Georges Duby e Jacques Le Goff), e gli studi di storia del Cristianesimo, anche laddove collocati piuttosto in linea con la tradizione, conducono sempre di più a una interpretazione e decifrazione transculturale delle pratiche della devozione.
Per la nascita del libro, all’origine hanno costituito un forte impulso alla riconsiderazione del tema anche gli studi di storia religiosa influenzati o direttamente inaugurati da studiosi della portata per es. di André Vauchez e Philippe Ariès, e poi da altri di ambito olandese, meno celebri ma altrettanto rilevanti che vale proprio la pena di rileggere oggi, sulla cultura devota nella regione Fiandra-Paesi Bassi (Leendert Breure, Petty Bange).
L’apparentemente semplice, iniziale raccolta di materiale figurativo di ambito devoto, anche di provenienza non sempre colta o aulica (come la xilografia, l’illustrazione del libro di uso liturgico – breviari, messali, e simili -, l’araldica o anche la scultura architettonica degli edifici) tuttavia, nel corso della scrittura del libro e in seguito all’incontro con gli studiosi di storia dell’arte sacra di ambito tedesco (Otto von Simson, Rudolf Preimesberger, o i primi studi di Horst Bredekamp sull’iconoclastia nel Quattro e Cinquecento; o anche con conservatori di musei attivi in ambito di ricerca, come Jochen Sander) e l’acquisizione dei diversi metodi di studio dell’immagine artistica in quanto documento storico, è sfociata in uno studio di altro e più definito orientamento di metodo.
Infatti, una delle tesi del testo è che il valore spirituale (considerato come non sempre esclusivamente cristiano) della figurazione debba esser scoperto e rigorosamente analizzato allo scopo di poter effettuare letture storiche sostanzialmente inedite sia per il Rinascimento, sia per tutta la prima Età Moderna, con particolare efficacia per una rivalutazione del ruolo dell’eterodossia o dell’eresia nella storia dell’arte e in generale nel passato europeo, in quanto sintomi di tensioni fondamentali alberganti al cuore stesso delle confessioni religiose da sempre.