Le edizioni Lindau hanno appena pubblicato il volume-intervista di Lorenzo Fazzini Nuovi cristiani d’Europa. Dieci storie di conversione tra fede e ragione, con prefazione di Lucetta Scaraffia. Ilsussidiario.net ha chiesto all’autore di spiegare le ragioni e i contenuti del’opera.
Che significato ha nella storia della Chiesa l’importante fenomeno delle conversioni narrate nel libro?
Già Cristo chiama tutti gli uomini alla conversione a Lui: «convertitevi e credete al Vangelo» (Mc 1,15). Se poi si guarda al testo evangelico, beh, i personaggi convertiti sono tra i più “simpatici”: Zaccheo, il centurione, l’apostolo Matteo. Tutte persone colpite dall’incontro con Cristo e che non resistono al fascino della sua persona. Allargandoci alle vicende storiche della Chiesa, i convertiti intessono un fil rouge che attraversa i secoli. Basti pensare a san Paolo, a sant’Agostino, a san Francesco d’Assisi, a sant’Ignazio di Loyola (conversioni di vita, queste ultime, da un’appartenenza debole a una dedizione assoluta per Cristo).
Nell’era moderna si notano numerose conversioni di intellettuali di prim’ordine: Blaise Pascal, per dire un nome; e poi la grande stagione dei literary converts inglesi tra Otto e Novecento, scrittori quali Gilbert Keith Chesterton, Evelyn Waugh, Clive Staple Lewis, Hilaire Belloc. Nomi eccelsi, che hanno segnato un’epoca nella letteratura contemporanea.
A proposito di contemporaneità, quali sono a suo avviso i più “illustri” convertiti degli ultimi tempi?
In Francia il fenomeno ha interessato qualificate personalità della cultura quali Jacques Maritain, il filosofo «padre» della Dichiarazione dei diritti dell’uomo, André Frossard, il giornalista amico di Paolo VI, e Maurice Clavel, iniziatore dei «nouveaux philosophes», di cui André Glucksmann e Bernard-Henri Lévy sono gli epigoni. Il più importante scrittore cattolico vivente oggi, Vittorio Messori, è un convertito. Insomma, i convertiti costituiscono una spina dorsale che attraversa la storia della Chiesa come una testimonianza dell’infinito e incrollabile fascino che Cristo esercita sull’uomo di ogni epoca.
C’è qualcosa che accomuna i dieci intervistati?
Sì, e direi la constatazione che praticamente tutti sono giunti a scoprire (o riscoprire) il cristianesimo attraverso la ragione, e non abdicando da essa. È studiando, ricercando, analizzando, interrogandosi sulla realtà che questi «nuovi cristiani» hanno accolto il Mistero del Dio incarnato.
Qualche esempio?
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Jean Claude Guillebaud, un giornalista francese, inviato di guerra di Le Monde, abbandona la professione di reporter e, sul finire degli anni Settanta, inizia ad interrogarsi sui grandi cambiamenti della post-modernità, ad esempio l’espansione del sistema tecnico, la pervasività delle scienze applicate alla vita umana, i fenomeni migratori. E capisce che per affrontare tutto ciò da “laico”, cioè poggiandosi sulla centralità dell’uomo, deve riscoprirsi cristiano. Scopre che i diritti umani hanno la loro radice nel Vangelo. Intuisce che uno degli assiomi della sua collocazione politica (la sinistra) – ovvero, il riscatto degli ultimi – affonda le sue ragioni nel Nuovo Testamento. Ancora: Janne Matlary, da laica protestante, diventa cattolica scoprendo il realismo di Tommaso d’Aquino. Fabrice Hadjadj, filosofo, studia Bataille, Nietzsche e Heidegger, e lì si «prepara» ad accogliere il messaggio del Crocifisso. Marco Tosatti indaga le ragioni del cristianesimo sollecitato dalla testimonianza di vita di Giovanni Paolo II, e recupera la fede d’infanzia. Joseph Pearce resta affascinato dal cattolicesimo trasmessogli dai libri di Chesterton.
Il sottotitolo parla di “conversione tra fede e ragione”, perché?
Perché spesso queste due dimensioni dell’umano vengono contrapposte, e invece, come ha insegnato Giovanni Paolo II, e su questo insiste Benedetto XVI, sono due realtà che si guardano e si intrecciano nell’uomo che vuole essere onesto con la realtà. Come diceva Pascal, l’ultimo atto della ragione è riconoscere che ci sono infinite cose che la superano. La fede non è contro la ragione, è una ragione “allargata” alla comprensione di quei piani del reale che essa non può comprendere. Ma che esistono. E ci interpellano tutti.