Il libro quinto delle Confessioni di Agostino rievoca l’incontro con il vescovo di Milano, Ambrogio: “La sua eloquenza dispensava strenuamente al popolo la sostanza del tuo frumento, la letizia del tuo olio e la sobria ebbrezza del tuo vino. A lui ero guidato inconsapevole da te, per essere da lui guidato consapevole a te”. Da famoso retore, Agostino ammette che il suo intento era quello di sincerarsi se l’eloquenza di Ambrogio meritasse la fama di cui godeva.
“Quell’uomo di Dio mi accolse come un padre e gradì il mio pellegrinaggio proprio come un vescovo. Io pure presi subito ad amarlo, dapprima però non certo come maestro di verità, poiché non avevo nessuna speranza di trovarla dentro la tua Chiesa, bensì come persona che mi mostrava benevolenza”.
Agostino è ancora lontano dall’approdo alla fede, ma scrive: “mi avvicinavo ad essa sensibilmente e a mia insaputa”. Attraverso l’insegnamento di Ambrogio “la fede cristiana non mi appariva vinta, ma non si mostrava ancora vincitrice” nei confronti delle altre dottrine filosofiche.
Avviene un altro incontro, raccontato nel libro ottavo delle Confessioni. Agostino si reca a far visita a Simpliciano, maestro e ispiratore di Ambrogio, poi suo successore come vescovo di Milano.
“In lui riluceva la tua grazia; avevo anche sentito dire che fin da giovane viveva interamente consacrato a te. Allora era vecchio ormai e nella lunga esistenza passata a perseguire la tua vita con impegno così santo, mi sembrava aver acquistato grande esperienza, grande sapienza”.
I due uomini vengono a parlare di Mario Vittorino, il famoso retore romano, morto da cristiano dopo aver a lungo resistito al battesimo, convinto che fosse sufficiente per essere salvati il semplice possesso della dottrina. Simpliciano lo aveva conosciuto bene a Roma, dove Vittorino gli confidava “non in pubblico, ma in gran segreto e confidenzialmente: Devi sapere che sono ormai cristiano. L’altro replicava: Non lo crederò né ti considererò nel numero dei cristiani finché ti avrò visto nella chiesa di Cristo. Egli chiedeva sorridendo: Sono dunque i muri a fare i cristiani?”
Dopo lunga esitazione, Vittorino accetta il Battesimo e professa pubblicamente la sua fede, tra l’esultanza dei cristiani di Roma e per questo viene costretto a rinunciare all’insegnamento.
“Allorché il tuo servo Simpliciano mi ebbe narrata la storia di Vittorino, mi sentii ardere dal desiderio di imitarlo, che era poi lo scopo per il quale Simpliciano me l’aveva narrata”.
Il travaglio di Agostino continua. Mentre un giorno si trova in casa con l’amico Alipio, va a trovarli Ponticiano, un funzionario imperiale nativo dell’Africa, ora in servizio a Milano. È cristiano e racconta loro che mentre era a Treviri, era uscito a passeggiare con tre suoi compagni. Si perdono di vista. Due di loro si imbattono in una comunità monastica, leggono la vita di Antonio eremita e decidono di passare al servizio del Signore.
Sul tavolo della casa c’è solo il libro delle epistole di san Paolo. Agostino lo prende, esce in giardino, lo apre a caso, legge e finalmente si arrende alla grazia di Dio.