Dopo le prime reazioni, e alcuni mesi trascorsi in apparente silenzio, il poeta Davide Rondoni ritorna, lancia in resta, con la sua paradossale (anche se non troppo) proposta: abolire l’insegnamento obbligatorio della letteratura italiana nella scuola. Un’idea che ha suscitato approvazioni e disappunto presso addetti al mestiere, professori, critici, letterati e via dicendo. Chi storce il naso e chi applaude. Secondo l’autore della proposta alcuni punti, soprattutto da parte dei critici, non sono stati spiegati chiaramente. Per questo motivo si è rivolto nuovamente a ilsussidiario.net cercando di chiarire alcuni “passaggi oscuri” o almeno discussi della propria visione.



 

Lei rilancia una sua provocazione: rendere facoltativo l’insegnamento della lingua italiana. Per quale motivo?

Per ribadire una preoccupazione che in questi mesi ha suscitato vari interventi anche qui su ilsussidiario.net. Preferisco dunque chiarire nuovamente che cosa intendo e perché ho lanciato questa idea che può sembrare di primo acchito bizzarra. La letteratura è un nostro patrimonio e come tale va difeso. La mia proposta, anche se all’apparenza può non sembrar vero, nasce proprio dalla volontà di difenderne la purezza e il contenuto.



Difenderli da che cosa? Che cosa minaccia in particolar modo la letteratura?

La missione educativa scolastica è quella di trasmettere la nostra poesia e le nostre opere letterarie. Questa missione sta fallendo in quanto delegata a una professione che si sta trasformando sempre più in un mestiere ripetitivo. I risultati sono la disaffezione degli studenti alle lettere e soprattutto l’impossibilità di cogliere a fondo la bellezza di quanto è previsto studiare in programma, nonché il disincanto degli stessi professori rispetto al proprio compito. Questo si vede sia nei dati empirici sia osservando quanto denunciato dalle statistiche. Di fronte a tale situazione c’è chi invece difende lo status quo, il posto di lavoro. Io non ce l’ho con gli insegnanti di per sé. So che ce ne sono di molto bravi, ma anche tanti altri che difendono la propria posizione di comodo. Rendere la letteratura facoltativa significherebbe spingerli a rischiare di insegnarla davvero.  



Ma se la letteratura fosse davvero resa facoltativa nelle scuole non crede che molti studenti rifiuterebbero di frequentarne i corsi a priori?

 

La mia proposta presume che ci sia un periodo iniziale non facoltativo di uno o due mesi. A inizio anno si proporrebbe di seguire il corso di letteratura. E i professori che riuscissero ad appassionare, a motivare il perché studiare la nostra letteratura, avrebbero poi tutti gli studenti che vogliono. Qui sta il rischio e la sfida. Ciò incentiverebbe gli insegnanti a lavorare con maggior passione. È ovvio che si tratterebbe di un rischio, ma è una scommessa che potrebbe scalzare finalmente quella esagerata tranquillità con la quale si impartiscono fredde lezioni superficiali tutti i giorni a migliaia di studenti. Finalmente l’insegnamento si riscatterebbe dal solito tran tran.

 

A partire dalla sua proposta, e quindi dalla sua denuncia, a quali cause attribuisce la perdita di interesse per la letteratura e la poesia?

 

Diciamo che c’è un’inadeguatezza nella formazione universitaria e conseguentemente della scuola a far percepire la bellezza e il valore di tali argomenti. Personalmente credo poco ai sociologismi, alla ricerca delle cause sociali. Ciò non toglie che, almeno parlando in termini nazionali, siamo in un’epoca in cui il superficiale e il banale dettano legge. È vero che quando Piersilvio definisce Maria de Filippi un “genio” i sintomi di un disastro culturale sono più che evidenti. Ciò non toglie le responsabilità oggettive del sistema scolastico che non può comunque fare lo scaricabarile dando la colpa alla società.

 

Sembra però che la piaga culturale affligga più o meno tutto il mondo occidentale e non solo l’Italia. Crede che ciò sia vero o come Paese siamo particolarmente colpiti da questa nefasta tendenza?

 

Assolutamente no, non è un fenomeno italiano o meglio solo italiano. Tant’è che la mia proposta ricalca quella quasi identica di uno scrittore statunitense che provocatoriamente ha lanciato l’idea di non insegnare più la letteratura nei licei e di sostituirne le lezioni con la lettura di 10 o 20 libri l’anno. D’altra parte anche in Europa la situazione non è delle più rosee, basti pensare alla grande condanna lanciata da Todorov a proposito della situazione culturale francese.

 

Una domanda che fa da contraltare alla sua proposta: c’è qualche cosa nell’attuale programma che invece cancellerebbe a prescindere dall’insegnamento?

 

 

Anche sotto questo aspetto le proposte si sono sprecate. Certo è che al disinteresse degli studenti si reagisce denunciando la mancanza di novità dei programmi. Io non sono di questo avviso. Secondo me non esiste un periodo o un movimento letterario che non andrebbe studiato. Nella letteratura come nell’arte in genere il metodo della preferenza è assolutamente valido. Ma dalla preferenza per determinate correnti o opere è possibile risalire a una visione totale della letteratura. Una lettura appassionata di Ungaretti ad esempio può avvicinare a una migliore comprensione del Barocco.

 

La sua è una proposta che interessa la scuola, ma è certamente orientata verso una preoccupazione culturale più generale. Perché dunque “prendersela” in particolare con l’istituzione scolastica?

 

In parte ho già risposto prima. In realtà non me la prendo con la scuola e, lo ripeto, sono convinto che esistano moltissimi bravi professori. È vero che la scuola è però per la stragrande maggioranza dei casi il luogo della mortificazione della letteratura. Questo perché la scuola è caratterizzata da un immobilismo inguaribile, un luogo dove la preoccupazione professionale super di gran lunga quella educativa, dove il reclutamento degli insegnanti avviene attraverso dottorati, concorsi eccetera. Non farei la stessa proposta per l’insegnamento della matematica o della stessa grammatica italiana. Ma per la letteratura sì. Rendere di nuovo affascinanti Dante e Petrarca è un favore che si fa alla cultura italiana.