Il cosiddetto diritto all’autodeterminazione, nel linguaggio corrente, è il riconoscimento della capacità di scelta autonoma ed indipendente dell’individuo e compare come espressione durante gli anni delle lotte femministe e viene inizialmente utilizzato in riferimento al “diritto dei popoli”.

La domanda che forma il titolo dell’intervento è estremamente problematica; essa riguarda la nozione di autodeterminazione e la Costituzione. Si adopera un concetto che ha rilevanza giuridica quasi esclusiva nel diritto internazionale e che, per il resto, assolve in genere anche nel linguaggio comune ad un compito politico-rivendicativo e ci si chiede se l’“autodeterminazione”: a) sia un diritto e b) se abbia uno spessore costituzionale.



A) La Costituzione non parla di autodeterminazione in alcuna delle sue disposizioni. Quella che perciò si definisce comunemente come “autodeterminazione” non ha sicuramente nell’ordinamento giuridico una dimensione unitaria, ma è suscettibile di assumere valenza giuridica solo per frammenti, riconducendo i diversi aspetti delle scelte e decisioni individuali



All’ambito giuridico che le è loro proprio, e cioè ad una disposizione puntuale che contempla una determinata situazione e la qualifica giuridicamente. Da qui perciò deriva essenzialmente che la Costituzione, che si esprime con un linguaggio giuridico in termini di diritti e di libertà, non esprime una nozione di autodeterminazione, ma semmai può qualificare alcune scelte e decisioni dell’individuo in modo puntuale.

B) I diritti costituzionali si pongono all’interno dell’ordinamento giuridico, a prescindere dalla circostanza se esprimono, o meno, una aspirazione etica o religiosa, e la loro positivizzazione dipende dalla disciplina giuridica che li concretizza. Tuttavia, i diritti costituzionali, pur essendo dipendenti dallo sviluppo della legislazione, hanno la capacità nel contesto delle disposizioni costituzionali che li contemplano di determinare limiti e confini proprio alla legislazione ordinaria, che, se superati, cagionano il vizio di incostituzionalità della legge (sanzionabile attraverso l’eventuale sindacato della Corte costituzionale). Da questo punto di vista rileva, perciò, la collocazione, costituzionale, o meno, di un determinato diritto.



 

In tal senso, la circostanza che la Costituzione abbia disposto un catalogo definito di diritti e libertà impone alcune distinzioni e comporta alcune conseguenze: in primo luogo tra diritti costituzionali e diritti previsti dalla legge; entrambi coprono l’intero comportamento umano e lo qualificano giuridicamente, ma non tutte le situazioni di diritto hanno una copertura costituzionale. In secondo luogo, mentre l’ordine legale è sottoposto al vincolo della completezza e, attraverso i procedimenti di analogia, si pone come privo di lacune, il sistema costituzionale dei diritti, basandosi sulla tipicità, per un verso, non è interpretabile analogicamente come le norme della legislazione, dal momento che si distingue ciò che è rilevante costituzionalmente, da ciò che non lo è, e, per l’altro, conduce ad escludere ogni interpretazione delle singole disposizioni costituzionali al di fuori delle fattispecie ad esse puntualmente riconducibili.

In definitiva, perciò, secondo Costituzione, non di “autodeterminazione” dell’individuo si dovrebbe parlare, ai fini di una valutazione sulla meritevolezza della tutela costituzionale, ma delle singole scelte e decisioni che questo assume o compie.

 

In conclusione, nell’impostazione seguita dalla Costituzione, incentrata sulla nozione di persona umana (e sulla sua dignità come status che la contraddistingue, atta perciò a limitare le pretese individuali), prescindendo pure dalla questione se la “salute” e la “vita” siano, oltre che un diritto, anche un dovere, non possono ritenersi storicamente comprese quelle impostazioni individualistiche che consentirebbero agli interessati di violare verso se stessi il principio del rispetto della persona umana, come ad esempio la pratica volontaria delle mutilazioni, oppure l’assunzione di sostanze che possono alterare o danneggiare lo stato di salute fisica e psichica; né perciò, a maggior ragione, possono permettersi pratiche che volontariamente mettano fine alla vita. Ed anche quando i singoli atti di autodeterminazione individuale si possano porre per il singolo come estrinsecazione di un diritto rispetto ad un altro (il classico esempio è quello del diritto alla salute o alla vita, in relazione alla non accettazione per motivi religiosi della emotrasfusione) deve dirsi che la valutazione del legislatore, nell’individuazione di un ragionevole punto di equilibrio tra i diversi beni costituzionali coinvolti, deve essere compiuta pur sempre nel rispetto della dignità della persona umana.

 

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