Il “papiro di Artemidoro”, di cui tanto si parla da qualche anno a questa parte, è un curioso testo, pubblicato in forma compiuta e critica da due papirologi, Claudio Gallazzi (Università degli Studi di Milano) e Bärbel Kramer (Università di Trier), e da un archeologo e storico dell’arte antica, Salvatore Settis (Scuola Normale di Pisa) solo nel 2008 (LED, Edizioni Universitarie di Lettere Economia Diritto, Milano). Peraltro, già in precedenza le caratteristiche e i contenuti dello straordinario reperto erano stati anticipati da annunci e pubblicazioni parziali, e nel 2006, in occasione delle Olimpiadi di Torino, il papiro era stato oggetto di una mostra a Palazzo Bricherasio (“Le tre vite del papiro di Artemidoro”), visitata da moltissime persone.



Vediamo di descrivere il papiro nel modo più possibile oggettivo. Dopo la ricostruzione fatta dagli editori, si presenta come un rotolo di circa tre metri di lunghezza (quindi, di dimensioni davvero eccezionali), su cui si riconoscono tre diversi set di segni. C’è anzitutto un testo letterario che contiene una descrizione della penisola iberica, con particolare attenzione per lo sviluppo delle coste e per le distanze tra i punti nautici più importanti. Questa descrizione è preceduta da una sorta di proemio (in cui si afferma – con tono molto retorico – la dignità e il valore della geografia) ed è accompagnata da una carta, parziale e non finita, della Spagna. Sullo stesso lato (il recto), nelle parti non occupate dal testo geografico e dalla carta, sono tracciati disegni anatomici (visi, piedi, mani), molto simili alle esercitazioni degli studenti di belle arti o ai bozzetti preparatori dei lavori pittorici. Sull’altro lato (il verso) c’è invece un variopinto e bizzarro insieme di animali, isolati o a gruppi: sono pesci, uccelli, quadrupedi, che a volte corrispondono a specie reali (riconoscibili, anche se la qualità dei disegni non è altissima), altre volte sconfinano nel fantastico, facendo pensare a mostri mitologici o a stramberie esotiche. Sono, in ogni caso, forme molto decorative, accattivanti.



Il testo letterario è stato identificato dagli editori come un brano dell’opera (per noi perduta) di Artemidoro di Efeso, famoso geografo vissuto tra II e I secolo a.C. Il papiro, dunque, sarebbe nato come un’edizione del testo di Artemidoro, eseguita da uno scriba professionista in una bottega libraria di Alessandria intorno al 50 a.C. Per ragioni ignote, tuttavia, il lavoro di copiatura sarebbe stato interrotto. Dopo qualche tempo il papiro, in larga parte ancora inutilizzato, sarebbe finito nell’atelier di un pittore, che lo avrebbe usato (sul verso) come una sorta di campionario, per mostrare ai clienti dei disegni ornamentali adatti all’esecuzione di affreschi o di mosaici. Qualche decennio più tardi gli spazi ancora bianchi del recto sarebbero stati sfruttati (forse dagli allievi del pittore) per i loro esercizi di disegno.



 

Finalmente, verso la fine del I secolo d.C., il papiro – ormai sfruttato completamente – sarebbe stato fatto a pezzi e usato, con altri scarti, per la costruzione di una maschera funeraria in cartonnage. Gli editori, infatti, spiegano di avere ricostruito il testo appunto smontando il conglomerato di cartapesta in cui il papiro era stato inglobato. Giova forse ricordare (lo dico per chi ha meno dimestichezza con questo genere di studi) che i cartonnages delle mummie restituiscono molti testi importanti: basta pensare al famoso papiro di Posidippo (di proprietà dell’Università degli Studi di Milano), che ha proprio questa provenienza.

Un “pezzo” così eccezionale (per gli apporti testuali, ma anche per gli elementi di contorno, che ne fanno un reperto assolutamente unico) non poteva non suscitare un interesse grandissimo. E così è stato. Ma ben presto (già dal 2006) è sorta un’accesa polemica. La ricostruzione degli editori è parsa inattendibile a vari studiosi, e in particolare a Luciano Canfora (Università degli Studi di Bari). Sottoponendo il testo del papiro a un’attenta indagine linguistica e filologica, Canfora è giunto alla conclusione che esso non possa appartenere alla Geografia di Artemidoro: lo stile pomposo del proemio e la presenza di termini del greco tardo sarebbero incompatibili con la lingua e lo stile di uno scrittore di età ellenistica. Approfondendo via via la sua critica (condivisa, va detto, anche da altri studiosi), Canfora ha individuato altre incongruenze e incompatibilità, arrivando a dubitare dell’autenticità complessiva del reperto. Il papiro allora non sarebbe un originale, prodotto nell’Alessandria tardo ellenistica e proto imperiale, ma la falsificazione di un geniale contraffattore, Konstantinos Simonides, che nei decenni centrali dell’Ottocento (era nato nel 1820) mise a segni vari “colpi” clamorosi.

Chi ha ragione? Non lo so. O meglio, ho una mia idea, ma non la rivelerei neanche sotto tortura.

 

 

Invece, mi piace spendere ancora qualche parola su Artemidoro, uno scrittore e un personaggio di cui sappiamo davvero poco, ma di cui intuiamo la grandezza. Luciano Canfora, con la consueta lucidità, ne ricostruisce la figura in un libro recentissimo, Il viaggio di Artemidoro. Vita e avventure di un grande esploratore dell’antichità (Milano, Rizzoli, gennaio 2010). Artemidoro nacque e visse a Efeso, una ricca città della Ionia, sede di un famoso e veneratissimo santuario di Artemide. Fu lui stesso, probabilmente, sacerdote di Artemide (come, un paio di secoli più tardi, Plutarco fu sacerdote di Apollo a Delfi), e tutelò gli interessi del tempio (insidiati dai publicani, che avevano tolto al santuario i proventi della pesca di due lagune alla foce del fiume Caistro) in una missione diplomatica a Roma: Artemidoro (il nome significa “dono di Artemide”) ebbe successo, e la sua città lo ricompensò decretando la costruzione di una sua statua in bronzo dorato. Ma la massima impresa di Artemidoro fu la composizione di una Gegrafia in 11 libri (che conosciamo solo indirettamente, ma da cui attinsero largamente Strabone e Marciano), cioè una descrizione del mondo allora conosciuto. Per la sua stesura egli non si affidò solo alle fonti letterarie, ma volle avere esperienza diretta dei luoghi: fu un grande viaggiatore, come era stato Erodoto di Alicarnasso trecento anni prima. Conobbe bene la Ionia e l’Egitto, ma si spinse anche nel Mediterraneo occidentale e navigò oltre le colonne d’Ercole, risalendo per un certo tratto la costa atlantica della penisola iberica. Strabone lo prende in giro, attribuendogli la notizia che all’altezza del Promontorio Sacro (la punta sud-occidentale della Hiberia) il sole al tramonto è cento volte più grande. Noi, come Strabone, sappiamo che di solito non è così. Ma siamo sicuri che Artemidoro non l’abbia visto davvero più grande?

 

IL PAPIRO DI ARTEMIDORO – IMMAGINE I