Vi siete mai chiesti perché, in nove anni, le “teorie della cospirazione” sull’attacco all’America dell’11 settembre 2001 siano state pressoché ignorate dalle maggiori testate giornalistiche planetarie? Dal New York Times a Le Monde, dal Wall Street Journal all’Economist, dal Times di Londra all’Asahi Shimbun di Tokyo, passando per i quotidiani e le Tv di casa nostra, non c’è un giornale importante che abbia dedicato un titolo serio alle ipotesi di chi sostiene che il Pentagono sia stato colpito da un missile, non da un aereo, e che le Torri Gemelle siano state fatte crollare con cariche multiple di esplosivo.



Eppure su Internet se ne discute da anni, con video, analisi, ricostruzioni: una rapida ricerca su Google permette di scoprire che l’11/9, per milioni di persone, è una gigantesca operazione di cover up organizzata dall’amministrazione Bush. E allora, perché questo silenzio dei media planetari? Se lo chiedete ai teorici della cospirazione, vi risponderanno che ovviamente c’è dietro…una cospirazione.



La risposta in realtà è molto più semplice, e la dico in due parole sapendo di irritare una larga
fetta del popolo del web: i giornali ignorano queste teorie perché sono pure e semplici idiozie.
Spiegare perché ci porterebbe lontano, non è questa la sede. Quello che qui interessa è invece riflettere su un fatto: i media di tutto il mondo hanno applicato alla vicenda dell’11/9 il metodo giornalistico sviluppato negli ultimi due secoli, hanno valutato gli elementi a disposizione, li hanno giudicati e ne hanno ricavato una narrativa comune che esclude le farneticazioni di gran parte delle conspiracy theories.



Non fosse per quest’opera di “filtro” attuata nelle redazioni di tutto il mondo, avremmo già la prima generazione di ragazzi che nei libri di Storia a scuola studierebbero l’11 settembre come un evento di natura dubbia e nebulosa. Un po’ come qualcuno vorrebbe che studiassero l’olocausto.

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 Il caso 11/9 è un esempio evidente delle sfide che l’era del web presenta al mondo dell’informazione, ma anche alla comunicazione politica, al marketing, alla pubblicità. All’analisi di queste sfide è dedicato L’Ultima Notizia – Dalla crisi degli imperi di carta al paradosso dell’era di vetro (Rizzoli), un volume appena uscito che ho scritto con Massimo Gaggi, inviato del Corriere della Sera negli Stati Uniti. Siamo in quella che abbiamo battezzato “era di vetro” perché è un momento in cui l’avvento del digitale rende tutto più trasparente, in uno scenario in cui dominano le comunità dei social network dove si sa tutto della vita di tutti.

 

 

Ma il vetro è per sua natura fragile. In un ecosistema dove siamo ormai abituati a trovare notizie gratis online su tutto, prende corpo l’idea che l’informazione sia un bene a costo zero. Una realtà che diventa quindi una minaccia all’esistenza stessa delle corazzate dei media. Gli effetti si cominciano a vedere con chiarezza. Il 2009 è stato un anno terribile per l’editoria, soprattutto negli Usa. Gli imperi di carta – dai giornali ai libri – sono entrati in crisi e la situazione potrebbe peggiorare, anche in Europa.

Le conseguenze sarebbero drammatiche non solo e non tanto in termini di posti di lavoro persi (tutto sommato esigui, rispetto ad altre categorie in difficoltà). I rischi riguardano invece proprio quella narrativa comune che, come nel caso dell’11 settembre e pur se con mille errori di percorso, i media sono riusciti fino a oggi in qualche modo a garantire. Se il giornalismo è una prima stesura della Storia, i giornali hanno permesso finora di offrire una bozza della realtà più o meno accettabile agli storici, pur nelle differenze di giudizio anche vistose che possono esistere tra una testata e un’altra. Se spariscono, e se a far massa critica per dare un “peso” agli eventi saranno solo gli algoritmi di Google, allora rischiamo un futuro in cui i nostri figli studieranno teorie cospirative spacciate per “storia”.

Allo stesso tempo, però, il mondo dell’informazione è provocato a fare i conti con la necessità di un profondo cambiamento. Non ci sono più posizioni di rendita, e sempre di più verrà premiato (e pagato) ciò che ha un valore reale: il gossip e l’aria fritta sono disponibili gratis, basta un click con il mouse. Informare avendo a cuore il bene comune richiede più sforzo, ma sarà ricompensato più di quanto non lo sia oggi. Siamo di fronte probabilmente alla prima vera rivoluzione nella lettura e nella scrittura dai tempi di Gutenberg, e niente sarà più come prima. L’era digitale offre ai media opportunità nuove e affascinanti per raccontare con un approccio multimediale le storie dell’avventura umana. Basta sapersi attrezzare per tempo.