In Teologia della storia, apparso nel 1968, H. I. Marrou, nato nel 1904 e morto nel 1977, offre i risultati della sua riflessione di storico e di cristiano, attorno ai temi della relazione tra tempo ed eternità, tra Chiesa della storia e Gerusalemme celeste, tra impegno nel mondo ed escatologia.
Il tempo per l’uomo di fede è scandito dalla venuta di Cristo e dall’attesa che Cristo ritorni. Il compito della Chiesa tra queste due venute è quello di ripetere l’annuncio buono della salvezza. Perciò al cristiano non è chiesto di dimenticare la storia, ma di impegnarsi in essa per proseguire l’opera di Dio.
La risposta più geniale e più equilibrata agli interrogativi che nascono si trova nel De civitate Dei di sant’Agostino, là dove parla della civitas Dei e della civitas terrena che le si oppone: “due diversi amori generano le due città: l’amore di sé, portato fino al disprezzo di Dio, generò la città terrena; l’amore di Dio, portato fino al disprezzo di sé, generò la città celeste”.
Per poter pensare questa realtà complessa occorre immaginare una polifonia: due temi vi si sovrappongono ad ogni istante, quello esaltante della città di Dio che si costruisce a poco a poco e sale verso la gioia del suo compimento, attraverso mille lotte e persecuzioni, e quello contraddittorio in una dissonanza mai risolta che proviene dalla città terrena.
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Perplexae quippe sunt istae duae civitates: le due città sono intrecciate tra loro, finché il giudizio finale non le separi. La formula è giustamente celebre e ha la sua fonte nella parabola evangelica della zizzania e del buon grano. Chi abbia compreso tale dottrina non potrà più avere una visione manichea del mondo.
La storia della Chiesa e la sua bellezza non sono conosciute appieno che da Dio; sulla terra lo storico dovrà sempre fare i conti con un dramma, la cui vitalità e grandezza non sono misurabili, perché il popolo chiamato ad essere santo resta pur sempre composto di peccatori, di carnali, di ignoranti. Il motivo profondo della perplexitas è nel cuore di ciascun uomo, nel mistero della libertà.
Non è dunque possibile pervenire ad un giudizio sulla storia, per quanto provvisorio esso possa essere? Marrou ritiene che la successione storica sia rappresentabile come un immenso concerto, che Dio crea e ordina nella bellezza e nel tempo dirige con mano onnipotente. Egli assegna una parte importante alla preghiera, compito di ogni cristiano, anche il più assorbito negli affari del mondo. Si tratta di vivere, là dove si è, nell’attesa attiva dell’adempimento della promessa: Dice il Signore: “Ecco, vengo presto”. Dice la Sposa: “Si, vieni Signore”.
Il realismo cristiano non dimentica il male, ma non ne è schiacciato: la speranza è la virtù dell’uomo in cammino nella storia, consapevole d’essere bisognoso di una salvezza che, in pegno, gli è già data. Spe salvi facti sumus, siamo salvi nella speranza e tale speranza coinvolge nel suo moto l’intero universo: "La creazione stessa geme aspettando la gloria dei figli di Dio".