Tra le pieghe dell’editoriale di Ernesto Galli della Loggia di domenica sul Corriere della Sera dal titolo “un’Italia anticristiana”, spicca un bagliore apparentemente strano di fronte a quello che lui definisce un generale atteggiamento sprezzante. Scrive Galli della Loggia nelle sue conclusioni: «Quel feroce tratto nazionale che per principio non può credere in alcuna cosa che cerchi la luce, che miri oltre e tenga lo sguardo rivolto in alto, perché ha sempre bisogno di abbassare tutto alla sua bassezza».
Da qui, l’atteggiamento di condanna per tutto ciò che rappresenta il passato, l’antico, la tradizione – analizza Galli Della Loggia in tutto il suo fondo – ad eccezion fatta – dice – per l’enogastronomia, che è la sola tradizione in cui gli italiani oggi si riconoscono realmente.
Ora, l’affondo fa certo pensare, perché da una parte vien da dire “siamo alla frutta”, tanto per restare in tema, dall’altro sembra che un fatto legato alla nostra quotidianità – il mangiare e il bere – rappresenti il bagliore che ci ricorda un’origine. Oddio, non è che l’enogastronomia dei giorni nostri apra la coscienza a tutto questo, ma certamente ha un valore culturale importante pensare che c’è un movimento di pensiero per cui i prodotti di stagione hanno un senso, se non altro perché ci legano a quell’ordine che non dipende da noi, ma dal quale, volenti o nolenti dipendiamo.
PER CONTINUARE A LEGGERE L’ARTICOLO, CLICCA SUL SIMBOLO >> QUI SOTTO
Il cibo, che prende la forma di un prodotto della terra oppure di un prodotto trasformato dall’artigianato alimentare, o ancora di un piatto, ha dentro di sé la cifra di quello che con evidenza si chiama dono. Dentro a un ordine è più facile coglierlo, fuori da un ordine c’è esattamente quello che Galli Della Loggia addita: un disordine, nemico di quella che si chiama ragione.
Ora, è ben poca cosa se l’unico elemento riconosciuto della tradizione, nella società odierna, rimane l’enogastronomia – brutta parola – che tuttavia può avvicinarsi al gusto e quindi aprire le porte al campo del bello. Ma anche qui, non sarei così certo che il campo del cibo è accettato per quello che è. Mi ha infatti colpito, durante un tavolo di lavoro dedicato a un progetto di esposizione universale, che due uomini della cosiddetta scienza abbiamo voluto attaccare proprio l’idea di ordine. «Non è un buon punto di partenza l’ordine, perché nella storia questo si è sempre modificato» ha detto il primo, mentre il secondo lo ha spiegato meglio: «Se dobbiamo fare una rappresentazione utile, questa deve lasciare tanti dubbi».
Già, anche l’ordine dell’universo, anche la sorpresa della Primavera, anche il tempo che cadenza la nostra vita sono sul fronte dell’opinabile, del relativo, esattamente come relative sembrano essere tutte le certezze che abbiamo ereditato dal passato. Eppure c’è continuamente qualcosa di tangibile che ci viene a toccare ciclicamente e che ci dice che così proprio non è. Fosse anche il profumo di un fiore, un raggio di sole o la fragranza del pane appena sfornato.