In questi tempi in cui la Chiesa è ferita da tante accuse, proprio nel momento in cui si appresta a rivivere la Settimana santa col suo peso di debolezza, di tradimento, di ubbidienza e di gloria, Rete 4 ha riproposto il famoso film di Vajda, Marcellino pane e vino, girato nel 1955 e interpretato da Pablito Calvo.
Dodici frati accolgono un piccolo orfano abbandonato dentro le mura del loro convento. Marcellino cresce custodito dall’amore di tutti i religiosi e specialmente da fra Pappina, chiamato così dal bimbo perché, essendo il cuciniere, lo ha svezzato. Per colmare la sua solitudine in mezzo a tanti frati, Marcellino ha un amico immaginario, Manuel. Ma un giorno, disubbidendo a fra Pappina, va in soffitta e si accorge di un grande Crocifisso che si trova lì. Gli sembra del tutto naturale parlare con lui e anche che lui gli risponda. Dapprima gli procura il pane, sottraendolo alla mensa dei frati, poi lo convince a scendere dalla croce per mangiare su un vecchio tavolaccio; si fa dare una coperta in più per ripararlo dal freddo, poi gli toglie la corona di spine, corre da lui durante un temporale che lo riempie di paura. Finalmente gli chiede come sia una mamma, che cosa faccia, e se anche lui l’ha avuta e dove sia adesso…E il Signore loda la bontà di Marcellino e esaudisce il suo desiderio più grande: prende il bimbo fra le sue braccia, lo fa addormentare e lo porta in cielo con sé, a vedere la mamma che Marcellino non ha mai conosciuto.
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È una storia che ha il sapore fresco e rude dei Fioretti di san Francesco, non a caso letti durante la cena nel refettorio dei frati. Una fiaba che è un antidoto a tutti gli amari veleni che ogni giorno leggiamo e sentiamo sulla santa Madre Chiesa, e non solo sui suoi membri che si sono macchiati di colpe gravi.
Marcellino è un bambino vivace e buono. Le sue marachelle sono innocenti, la sua disobbedienza è addirittura premiata dall’affetto che il Signore crocifisso gli riserva; ma anche i frati che lo accolgono sono buoni, con la loro saggezza e la loro ingenuità, nell’obbedienza e nei momenti di ribellione. Una ventata di innocenza la loro paternità, l’amore vero al bene di un trovatello che saprebbe anche rinunciare a tenerlo al convento, se si trovasse una famiglia disposta ad accoglierlo.
È proprio bello rivedere a distanza di anni questo film in bianco e nero, che ebbe a suo tempo un successo enorme, anche perché la religiosità genuina che vi si respira forse trovava ancora corrispondenza in una società non così laicizzata come quella di oggi. È un film che parla con gli occhi di Marcellino e non con gli effetti speciali, la cui colonna sonora è fatta da tre indimenticabili note in croce, a sottolineare il gioco delle ombre e della luce.
È una fiaba e la realtà è a volte ben diversa. Ma il solo fatto che qualcuno l’abbia scritta, sceneggiata e recitata non può che commuovere anche chi di noi è tentato di commentare in qualsiasi modo le vicende di questi giorni, piuttosto che tacere e amare.