Ci sono molte ragioni per condividere l’analisi di Ernesto Galli della Loggia. L’attacco alla Chiesa cattolica appare ricorrente e diffuso, il Vaticano è presentato sempre di più come una zona franca dove tutti i compromessi sono possibili, mentre imperversano i dossier che infangano e inquinano, gettando ombre anche là dove sembrava che nulla di oscuro, né di torrido potesse apparire. A questo si aggiunge una cultura diffusa che naviga nei luoghi comuni del più banale materialismo scientista, il messaggio religioso viene ridotto a morale e la morale appare antiquata. La critica alla Chiesa non è nuova; semmai, ad essere nuovi, sono gli strumenti mediatici e la strategia a breve termine che c’è dietro. Tutto sembra deporre per un attacco al Vaticano sferrato attraverso gli stessi media che avevano attestato il successo della Santa Sede a partire dalla fine degli anni ’80.



Da tempo la critica all’istituzione ecclesiale si avvale di quella all’universo religioso. La pretesa della Chiesa, la sua stessa esistenza sono percepite come illegittime nella misura in cui è il sacro stesso ad essere declinato. In questo caso la teoria della secolarizzazione, intesa sempre e comunque come un aspetto evidente ed inarrestabile della società contemporanea, gioca un ruolo decisivo. L’evidenza di una laicizzazione senza ritorno delle coscienze, il declino inevitabile e dirompente della sensibilità religiosa e l’avvenuta sostituzione di questa con dei simulacri di sacro che ne riprendono le apparenze ma non la sostanza, costituiscono una sottolineatura costante di ogni analisi sulla dimensione religiosa. Una volta attestata e reiteratamente sottoscritta la tesi della crescente perifericità di questa, l’attitudine della Chiesa a parlare ad un’intera società andata altrove può essere facilmente ridicolizzata, liquidata come irrealistica e considerata come illegittima.



Ma fino a che punto l’ovvietà ideologico-culturale della posizione anticristiana è effettivamente presente nelle corde del paese? Fino a che punto è arrivata la scomparsa del sacro, al di là della rappresentazione mediatica?

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In realtà, ad una secolarizzazione delle strutture corrisponde sempre meno una laicizzazione delle coscienze. Dopo almeno quarant’anni di bollettini che reiterano costantemente il declino di praticanti e seminaristi, non solo la dimensione religiosa in Italia è ben lontana dall’essere scomparsa, ma si fonda su un’istituzione ecclesiale che continua a detenere un prestigio rilevante. Di fatto, la dimensione religiosa si rivela sempre di più come un fiume carsico dove a parrocchie deserte fanno da contrappeso nuove devozioni e pellegrinaggi di massa, al diradarsi dell’associazionismo tradizionale si contrappongono i nuovi movimenti ecclesiali, alla crisi degli ordini religiosi rispondono nuove congregazioni.



 

Misurata con il metro degli anni ’50 non c’è alcun dubbio che la religiosità in Italia sia in profondo declino, ma è veramente questo l’unico metro a disposizione? Come dare conto di tutto il nuovo che si manifesta? Vale la pena ricordare come, per la teoria della secolarizzazione, diffusasi all’inizio degli anni ’60, una ripresa di visibilità della Chiesa come quella realizzata da Giovanni Paolo II era assolutamente imprevedibile, i movimenti ecclesiali erano impensabili, la rete delle opere cattoliche che esistono e sono quanto mai attive ed operanti erano liquidati come pura fantasia. Possiamo realmente pensare che una tale teoria possa continuare a reclamarsi interamente valida, quando per sopravvivere è costretta a mettere ai margini tutti questi fatti, riducendoli ad altrettante parentesi momentanee e inoperanti?

 

Ciò che si espande è il divario tra il legame religioso e la sua riduzione al silenzio nel concreto dei rapporti sociali, il suo restare in ombra quando si parla di comportamenti espliciti e stili di vita prevalenti. Le manifestazioni del legame religioso esistono, ma non si notano. Sono scavalcate tanto sul fronte esterno, dove sono superate e messe ai margini dal cinismo scientista denunciato da Galli della Loggia, quanto sul fronte interno, dove si registra il divario denunciato da Piero Barcellona tra appartenenze dichiarate e comportamenti che vi restano estranei. Il fiume carsico del legame degli uomini con Dio, quando riappare, non sempre brilla per la sua lucentezza e per la ricchezza delle acque, molto più spesso si rivela essere solo un tenue rigagnolo, appena visibile e denso di contraddizioni, che lo inquinano rendendolo irriconoscibile. Il risultato è che anche i luoghi e gli spazi in cui un tale legame si afferma nella sua forma migliore finiscono per essere tralasciati.

 

Pur tuttavia è indispensabile prenderne atto, riconoscere la persistenza e la novità della sua presenza plurale, dove si alternano senza fine santità e formalismo, testimonianza e tiepidezza, coerenza e contraddizioni. Una tale presa d’atto è indispensabile per comprendere il nuovo che comunque esiste e si manifesta dentro la Chiesa, non di rado con risultati sorprendenti. Ma essa diviene indispensabile anche e soprattutto per chiarire l’ampiezza e la gravità di entrambi i degradi che vengono – con molte buone ragioni – denunciati.

 

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L’analisi di Galli della Loggia sull’Italia anticristiana è tanto più importante quanto più ammettiamo che l’avversario non si sbarazza di una Chiesa in declino, destinata ad inevitabile scomparsa, ma si ostina a spegnere le luci su di una realtà ancora viva e densa di novità, che non manca di avere moltissimo da dire al mondo moderno, esasperandone le forme di degrado e le contraddizioni che vi albergano, come accade per ogni fenomeno di massa. La fretta dell’Italia anticristiana di stilare il certificato di morte del legame religioso attestandone l’irrilevanza e l’inconsistenza dei comportamenti di quanti lo affermano, è tanto più insopportabile quanto più si ostina a non riconoscere i fermenti di vita che lo attraversano, l’apporto decisivo che questo continua a dare.

 

C’è un’invasione continua, un’egemonia culturale del cinismo e di quella che Galli della Loggia chiama “cultura liquidatoria del passato”, rispetto alla quale le prospettive altre sembrano essere afone, quasi senza voce. Afone, non inesistenti né marginali: è diverso. C’è uno straparlare, un’invadenza supponente dell’irriverenza, del giudizio sbrigativo e della liquidazione della religione – ma il discorso va ben più lontano e come Galli della Loggia propone, riguarda anche la storia. Si assiste così ad una discarica costante di luoghi comuni che tutto travolge, e che si arroga costantemente il diritto a presentarsi e ad autoproclamarsi. Culture e sensibilità finiscono per restare in ombra. Movimenti e devozioni che stanno strutturando una rete estesa di consensi, vengono messi in disparte. La stessa attenzione alla cultura storica che pure esiste (basta guardare l’estensione degli stand dedicati alla storia in qualsiasi libreria qualificata) “non passa”, non viene comunicata, non viene lasciata accedere agli spazi dei media.

 

Il primato del cinismo denunciato da Galli della Loggia da un lato e quello dell’io ridotto al minimo separato dalla coscienza dell’interrogarsi dall’altro, denunciato da Barcellona, non sono affatto dei tratti maggioritari della realtà nazionale, ma lo sono invece sul piano ideologico. Essi forniscono le rappresentazioni dominanti, mettono in piedi la pagina di copertina dell’identità nazionale e forse tutto questo è ancora più grave.