C’è un bella frase su Enrico Mattei pronunciata da uno dei suoi storici avversari che viene spesso dimenticata. Dopo la morte improvvisa per l’incidente aereo (storia ufficiale molto contestata) del presidente dell’Eni, William R. Stott, allora vicepresidente esecutivo della Standard Oil Company of New Jersey, la maggiore società petrolifera del mondo e la capostipite delle cosiddette “Sette sorelle”, disse: «Enrico Mattei aveva a cuore soprattutto gli interessi del suo Paese».



Frase di circostanza? Senso di colpa? Non pare proprio guardando la vita e l’azione del presidente dell’ Eni, uno degli artefici indiscussi non solo della rinascita nazionale italiana nell’ultimo dopoguerra, ma soprattutto uno dei “grandi italiani” che ha fatto entrare il suo Paese nella storia moderna.



Si dimentica molto di Mattei e del suo operato. Ci si ricorda in genere per la morte avvenuta nel tardo pomeriggio del 27 ottobre del 1962 a due minuti dall’atterraggio a Linate sul suo aereo. E per quella tragedia tanto discussa, pare quasi che il “grande italiano” interessi soprattutto se collocato in un “affaire”, dove si sprigionano i miasmi di servizi segreti di diversi Paesi, mafia, regolamenti di conto nella “guerra del petrolio”, scenari di ambiguità velenosa tra gli stessi esponenti dell’Eni nel consueto intreccio “perverso” tra affari e politica.

Insomma nella nostra storia nazionale, sul “caso Mattei” prevale la cronaca “gialla” o “nera”, quella che riduce tutto a schematizzazioni patetiche e allo sport nazionale preferito: la scoperta del complotto e la dietrologia. Provate a chiedere a uno studente universitario che cosa ha fatto Enrico Mattei e lui risponderà partendo dalla fine, dall’incidente aereo.



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Non sentirete mai parlare di come il comandante partigiano commissario dell’Agip, per scioglierla, riuscì a far diventare l’Italia, attraverso la stessa Agip fino alla fondazione dell’Eni nel 1953, uno dei Paesi che riuscì quasi a sconvolgere il mercato mondiale del petrolio e ad assicurare una provvista energetica necessaria allo sviluppo produttivo italiano. In realtà William R. Stott aveva inquadrato benissimo il personaggio.

 

Mattei non era solo un eccezionale imprenditore, ma anche un attento osservatore politico, non provinciale, che rivendicava uno spazio economico per l’Italia nel mondo. Mattei era tendenzialmente un nazionalista con grandi venature populiste, termine quest’ultimo che sembrava e sembra un disvalore nell’elaborata “galassia delle ideologie” italiana, ma che ad esempio negli Stati Uniti ha prodotto una delle culture politiche più avanzate.

 

Fu nazionalista e populista innanzitutto per formazione familiare: il padre carabiniere (aveva arrestato il famoso brigante Musolino), le letture imposte dalla nonna Ester, il clima della provincia italiana della sua prima giovinezza, dell’”Italietta” di quei primi decenni del XX secolo. Giorgio Ruffolo, uno dei più stretti collaboratori di Mattei all’Eni dirà: «Quel suo nazionalismo era fatto in casa, era di origine familiare».

 

Ma in quel nazionalismo populistico di carattere familiare, c’erano i segni di una volontà di riscatto, di un grande realismo e di un grande coraggio. Così Mattei scelse la Resistenza tra le file dei partigiani democratici cristiani, così Mattei guardò all’Italia del Dopoguerra con grande realismo e grande coraggio. Non aveva a disposizione molto Mattei. L’Agip, fondata nel 1926 per volontà di due ministri fascisti, era una sorta di carrozzone o cimitero degli elefanti.

 

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Quella che era l’Azienda generale italiana petroli, aveva avuto soprannomi spregiativi fino alla fine del 1945: “Associazione Gerarchi in Pensione” oppure “Azienda Generale Infortunati Politici”. Enrico Mattei fece il fuoco con la legna che aveva a disposizione, ma soprattutto comprese e fece comprendere che non ci poteva essere un grande sviluppo economico e industriale nella metà del XX secolo senza avere una provvista energetica, ormai basata sul petrolio, adeguata. Non gli fu facile nulla. Né da parte finanziaria, né da parte industriale, né da parte politica.

 

In quegli anni imprenditori ed economisti si dividevano sul carattere dello sviluppo italiano e molti pensavano a un’Italia costruita su un “artigianato d’eccellenza” piuttosto che su grandi complessi industriali. Poi c’erano i detentori dei grandi interessi di settore che, come al solito, pensavano di affidarsi in campo energetico a una “dipendenza” eterna da altri Paesi, forse non comprendendo bene quali conseguenze politiche avesse una tale dipendenza totale.

 

L’azione di Mattei non fu semplice. Il presidente dell’Eni non doveva combattere solo contro il “cartello” petrolifero mondiale modificando gli accordi con i paesi emergenti del Terzo Mondo, ma doveva affrontare anche una fronda interna molto forte. Anche in quel periodo entrò in scena il moralismo nazionale per i metodi di Mattei, per il suo modo di “usare i partiti come un taxi”, per avere fondato un suo giornale (Il Giorno) e una sua agenzia di stampa.

 

Si sprecarono fiumi di parole sulla corruzione e sull’intreccio politica e affari. Ben pochi compresero che la cosiddetta “spregiudicatezza” di Mattei era soprattutto una voglia di riscatto italiano e un interesse principale per il bene di un paese da ottenere in un mondo dove si giocava senza esclusione di colpi. Se si sfogliano i giornali dell’epoca, si ritrovano paragoni in negativo con il generale De Gaulle, oppure come il “vero ministro degli Esteri italiano”, oppure come il “grande corruttore”.

 

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In pochi si ricordavano che con la bombola a gas in ogni casa, grazie a Mattei, gli italiani erano riusciti a farsi una minestra riscaldata e ben cotta, per fare solo un piccolo esempio. Storie di tradizionale dimenticanza e rimozione italiana. La “scoperta” di Mattei avvenne dopo la tragica morte e i critici di un tempo si trasformarono in improvvisati Sherlock Holmes (magari nel fratello più “furbo”) per chiedere giustizia e chiarezza.

 

E così cominciarono a moltiplicarsi le piste indecifrabili di complotti mondiali e nazionali. Certamente l’incidente aereo, a due minuti dall’atterraggio, lascia ancora oggi grandi ombre. Ma tutto quello che vi è stato costruito intorno in questi anni non ha mai portato da nessuna parte e spesso ha distorto la figura di Enrico Mattei.

 

Certo dovrebbe essere interessante conoscere le pagine del libro di Pier Paolo Pasolini “Petrolio” che riguardano Mattei e i rapporti con il suo successore Eugenio Cefis. Ma se si guarda a quello che scrivono i giornali in questi giorni di fronte a un testo ancora non “sicuro”, si ha la sensazione che non c’è alcuna voglia di verità né sulla morte di Mattei né tanto meno sulla sua figura.

 

C’è infatti chi ha già disegnato scenari che attraversano il XX secolo e riguardano tutti servizi segreti del mondo, più naturalmente quelli “deviati”, logge massoniche come la P2 (Licio Gelli deve avere ormai 650 anni), dove Cefis avrebbe avuto un’importanza fondamentale. E poi una sequenza di delitti che corre lungo tutto il secolo, magari fino all’attentato di Sarajevo…E non ce ne è uno di questi scribi di “cose misteriose” che abbia mai illustrato o letto attentamente la figura di Enrico Mattei. Aspettiamoci un altro “polverone” senza senso.

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