All’inizio di via Torino a Milano sorge la chiesa dedicata a san Satiro, il fratello di sant’Ambrogio. Essa è celebre per l’abside affrescata da Bramante in modo tale che l’angusto spazio dietro all’altare sembri aprirsi in un vano semicircolare.

Meno celebre, sconosciuto anche a molti milanesi, è il gruppo di quattordici statue in cotto policromo che compongono una Pietà, custodita nel Sacello situato a sinistra dell’altare, nella parte più antica dell’intero edificio.



È opera eseguita nel 1483 da Agostino de Fondulis, di origine cremasca ma formatosi nella bottega del padre, artista non secondario nella Padova donatelliana. Non è escluso che proprio Bramante, proveniente da Urbino lo abbia conosciuto in quella città meta degli artisti di tutta Italia e lo abbia chiamato con sé a Milano.



La Pietà di san Satiro è la prima opera di Agostino de Fondulis a Milano: lo rivelano il realismo che caratterizza il dramma della scena e la ruvidezza di stile ancora lontana dal classicismo umanistico che Bramante e Leonardo imprimeranno alle sue produzioni posteriori.

La rappresentazione di Cristo deposto dalla croce e tenuto in grembo da Maria è legata alle tendenze devozionali diffuse in vari luoghi sul finire del Quattrocento, ad opera soprattutto degli ordini mendicanti.

 

Il gruppo delle sculture di san Satiro raffigura molti personaggi, tra i quali sono riconoscibili, non senza difficoltà, Maria di Cleofa che regge la Vergine esangue, Nicodemo, colui che andò da Gesù di notte e che cercò di difenderlo dalle accuse, Giuseppe d’Arimatea che si adoperò a trovargli il sepolcro; più facilmente sono identificabili Giovanni in piedi sulla sinistra di chi guarda e la Maddalena affranta in ginocchio, coi lunghi capelli sciolti. Alcune figure ricordano Mantegna, altre Donatello, altre le vetrate della vita di Gesù nel Duomo di Milano.



 

Innovativa è la tecnica di cottura della creta plasmata con grande delicatezza e la raffinata stesura pittorica delle vesti suggerisce accanto all’opera di Agostino la presenza di un pittore, forse Antonio da Pandino.

 

L’intento è quello di presentare una ambientazione teatrale, di offrire plasticità e corpo ai compianti attestati nel tardo Quattrocento anche a Milano e utilizzati dal movimento francescano: «Con quanti singulti, con quanti crepacore sospirava la madre stringendo e baxando e considerando il suo figliolo. Pensali anima devota, perché narrare e scrivere non se pono. Stava anchora el diletto discipulo et amarissime lacrime fondeva temendo non perdere la nova e ridomandata madre insieme con el maestro.

 

 

Ancora la cara discipula Magdalena con amare lacrime stava prostrata a quilli perforati piedi e cridando diceva: Heu dolce el mio maestro. Oramai è tempo de partirse e Johanne dolcemente pregando la madre diceva: Cara la mia madre l’hora è tarda et è apreso al tramontare, lassatelo ormai ungerlo e sepelirlo. Et ella recordandose che figliolo li aveva dato in guardia, per reverentia de esso non volse contraddire a Johanne».

 

Il sacello di san Satiro è stato recentemente chiuso a causa di atti vandalici e la Pietà è visibile dalle grate che la proteggono. Chiedendo al sacrestano, ci si può avvicinare e notare i particolari di un documento di religiosità popolare che raffigura il dolore per la morte di Cristo. La forza dei volti e delle espressioni si imprime negli occhi, si trasmette all’animo e permane nella memoria.