Il 24 aprile è il giorno della Memoria del genocidio armeno. Nel lontano 1915, in quella data ebbe inizio lo sterminio degli armeni operato dei Turchi. All’improvviso intellettuali, banchieri, grandi artisti, preti furono prelevati di notte dalle loro case e deportati, infine massacrati. Si partì da Costantinopoli e poi dalle altre zone dove risiedevano gli armeni: confisca dei beni, deportazione e morte. Oltre 1.500.000 furono le vittime. Un film dal titolo Ararat rievoca quella triste pagina di storia. In ogni città paese o villaggio gli armeni celebrano il giorno della Memoria con una Messa; a Milano, il 24 aprile ci si ritrova in piazza San Ambrogio presso il monumento degli armeni e si canta l’inno nazionale, che è il Padre Nostro. Essere armeno ed essere cristiano è la stessa cosa.



La storiella per cui il genocidio degli armeni non sarebbe mai avvenuto è risibile. La Turchia ha sempre sostenuto la tesi della montatura: le prove sarebbero state costruite nell’intento di delegittimare la sovranità nazionale turca e il suo ruolo politico nell’area mediorientale. Lo spauracchio del genocidio armeno verrebbe agitato per  screditare i turchi rispetto ad altre etnie (curde, arabe, armene…) o per impedire l’entrata della Turchia, paese a vocazione musulmana, nell’Unione europea. La realtà invece è che volumi di documenti giacciono negli archivi dei vari ministeri degli Esteri dei paesi coinvolti nella questione armena, come Stati Uniti, Germania, Francia, Inghilterra, Italia; sono documenti che non lasciano dubbi sulla volontà di eliminare l‘intero popolo armeno. Abbiamo il pastore tedesco Johannes Lepsius, testimone dei massacri, la testimonianza di Heinrich Vierbucher, interprete del generale Liman von Sanders ; Armin Wegner, ufficiale che riuscì a scattare una serie di fotografie agghiaccianti che fanno parte oggi di una mostra itinerante in Italia. I turchi dicono che si tratta di documenti manipolati ma non spiegano come mai nell’attuale Anatolia dell’est, l’Armenia storica in cui gli armeni hanno abitato per tremila anni abitarono, non c’è più un armeno.



Mentre il genocidio armeno fu consumato durante la Grande Guerra, la questione armena la si deve far risalire ai primi dell’Ottocento, quando ogni popolo ebbe motivo di aspirare ad una propria nazione. Già la Grecia nel 1821 si era staccata dall’Impero ottomano e altri “pezzi” si apprestavano a staccarsi. Gli armeni chiedevano riforme, senza subire vessazioni. In realtà, in quanto cristiani erano classificati come sudditi di seconda categoria.

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Un ridimensionamento dell’Impero a ovest verso l’Europa e nei Balcani poteva ancora funzionare ma ad est no, sarebbe stata una mutilazione gravissima per il sogno panturchista. Il problema armeno va visto in questa prospettiva. La “pianificazione”, nel senso moderno, di sterminio della nazione cristiana armena, iniziò con il governo progressista dei Giovani Turchi del partito Ittihad ve Terrai ovvero Unione e Progresso. I tre capi dell’Ittihad erano anche ministri del governo: Enver, alla Guerra, Djemal alla Marina e Talaat agli Interni. Questi tre volenterosi carnefici della causa panturchista, nel 1908, destituirono il sultano e instaurarono una dittatura militare.



 

Esiste un filo rosso che lega il genocidio armeno e le stragi nella politica coloniale tedesca alla fine dell’ Ottocento. I tedeschi conquistarono la Namibia, sterminando la tribù ostile herero in modo molto simile a come si farà in Turchia: il sistema della deportazione nel deserto, l’ avvelenamento dei pozzi, lo studio di itinerari circolari. Nell’ottobre 1919 capitolava l’Impero ottomano. Fu allora che Mustafà Kemal riprese il progetto di liquidazione dei resti della presenza armena. Kemal – molto furbo – di fronte al pericolo bolscevico si assicurò l’appoggio degli alleati e di fronte all’imperialismo degli alleati si assicurò l’appoggio bolscevico. Nel settembre del 1920 – in barba al trattato di Sèvres – Kemal potrà ordinare al generale Karabekir di sterminare tutta la popolazione armena delle zone attribuite alla Repubblica d’Armenia, con il silenzio delle potenze occidentali.

 

Esiste infine fra i documenti che inchiodano i turchi alla storicità del genocidio, un telegramma di Talaat, datato 15 settembre 1915, nel quale egli dichiara apertamente la volontà del governo turco di sterminare tutti gli armeni di Turchia “senza riguardo per donne, bambini e infermi”, e invita i suoi a non “ascoltare i sentimenti della coscienza”.

 

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L’Impero ottomano era un mosaico di popolazioni cristiane (slavi, greci, siriani, armeni) e musulmane (turchi, curdi, arabi). Poi i turchi abiurarono all’ideale “imperiale” e divennero ultranazionalisti, assumendo il panturanismo o panturchismo. Turan è il nome della regione in Asia centrale che i turchi considerano la culla del proprio popolo. Con il turanesimo non solo si affermò l’idea che occorreva riunire tutte le popolazioni turche dell’Asia sotto un’unica entità statale, ma si iniziò a predicare il ritorno alle origini dei popoli di etnia turca come turkmeni, tatari, kazachi, uzbechi, in nome della razza superiore, dell’uomo migliore e più forte, che proveniva appunto dall’altopiano Turan.

 

Chi paventa oggi il ritorno del fascismo, come del comunismo o del nazismo si metta tranquillo. Anche per il turanismo non vi sarà alcun ritorno. Non ci sono le condizioni storiche. Ed anche uno sprovveduto in storia lo capisce. Invece nulla esclude che ciò che è male vero, cioè il male che si mostra ma non si fa vedere, e che è all’origine degli stessi movimenti totalitari che avrebbero voluto fare la felicità dell’uomo su questa terra – nulla esclude che possa tornare e tornare ovviamente in forma nuova. Anzi, è all’orizzonte, già si delinea, forse già prende forma con la manipolazione genetica o la bioingegneria un nuovo orrore. Dietro una certa concezione di scienza e tecnica si vuol perseguire il sogno di sconfiggere tutte le malattie e la stessa morte? Con il genocidio armeno – come con altri più recenti – si è voluto perseguire proprio un mondo nuovo: produrre, nel “laboratorio” della storia, un nuovo uomo. Qui è la violenza. Una certa modernità può muoversi, oggi come nel passato, credendo di costruire il proprio destino, ma di fatto insegue l’utopia, basandola sulla negazione fumosa ovvero utopica della creaturalità.

 

Puntualmente ecco ricomparire nel caso degli Armeni il fenomeno dei Giusti. Come per gli ebrei si distinsero dei Giusti che salvarono quanti più ebrei poterono, così molti armeni sopravvissuti furono salvati da arabi musulmani. Molte sono le testimonianze di Armeni:  “io non odio il popolo turco perché esso ci ha anche salvato; responsabile è stato il governo”. Anche in situazioni estreme ci sono uomini che sanno dire di no al male, anche a costo della vita. Niente, né Shoah né metz yeghéren (il grande annientamento per gli armeni) autorizzano il discredito assoluto sull’uomo. Sebbene tutto congiuri a tacer di lui, “di noi come si tace un’onta” (Rilke), ci sono uomini che – da sempre – hanno fatto buon uso della loro libertà, riscattando la dignità umana dall’abiezione con la carità o con atti che molto le assomigliano.

Del resto che il male non abbia vinto nel caso degli armeni è dimostrato dal fatto che per essi la memoria del male non è legata tanto ai morti, in una sorta di lugubre rituale collettivo, ma ai martiri, che ci guidano e ci insegnano a scegliere e seguire il bene.

 

(Pippo Emmolo)