Scartare un regalo: questo è leggere una poesia. Senza restare impigliati nell’intrico delle nostre conoscenze e preoccupazioni; senza che la distrazione e la fretta, fermandosi sui dettagli, ci impediscano di vedere la realtà. Perché la poesia, in primo luogo, è un’esperienza reale (e storica), a cui ci si deve, semplicemente, arrendere. In un articolo del 1989, apparso sul quotidiano spagnolo ABC, María Zambrano scrive: «Le parole sono la meraviglia del mondo, del mondo intelligibile, di quello che io conosco. Il che non vuol dire che possano essere intese; ma ci fanno intendere di essere la forma più perfetta di comunicazione. La parola è più trasparente».



Viene così definita la prospettiva entro cui ci si può collocare, oggi come sempre, per leggere la poesia. Per imparare a restituire alla parola poetica il suo tratto peculiare e irripetibile, tra le forme affollate del quotidiano: è una parola – quella del poeta – donata non per essere intesa, ma per farci intendere. Sollecitando la nostra partecipazione, per consentire l’avvento della (sua) verità.



A dispetto della tecnica e dell’empirismo incombenti, secondo María Zambrano la poesia è vivencia, fonte viva che salva la ragione e la riscatta da ogni schematismo idealistico, da ogni riduzione fenomenologica. La poesia ospita il pensiero nella sua fase nascente: offre uno sguardo sul mondo che rende più ricca l’esperienza del vivere. Restituisce la voce del cuore: non tanto la sede degli affetti e delle emozioni, quanto la misura ultima e radicale di ogni creatura, il centro etico (non sentimentale) che dice il valore autentico dell’individuo.

Quel punto che unifica ragione, volontà e sentimento, e definisce il volto dell’uomo. La poesia è testimonianza di un pensiero libero da ogni forma di astratta superbia o ambizione. Per osservarne il riverbero, dunque, bisogna imparare a non essere presuntuosi. Etimologicamente vanità e sospetto vanno a braccetto: chi presume, infatti, pretende di conoscere senza un fondamento, senza esporsi alla realtà nella sua evidenza integrale. In un articolo pubblicato su El Paìs nel 1984, María Zambrano aggiunge: «Io non ho vissuto di idee ma di esperienze. La mia vera vocazione è stata quella di essere, non di essere qualcosa».



Leggi anche: RICORDO/ Alda Merini, perché Dio ama più di noi?, di F. Camisasca

Leggi anche: LETTURE/ Conrad, Goldoni e Gadda insegnano ai manager come trattare con gli uomini, di L. Cioni

PER CONTINUARE A LEGGERE L’ARTICOLO, CLICCA SUL SIMBOLO >> QUI SOTTO

Leggere è diventare capaci di questo: arrivare a vivere la poesia non come un’idea o uno schema, ma come un fatto. Il lettore assiste a una rivelazione, a uno svelamento che l’aiuta a concepire la molteplicità inafferrabile, perpetuamente metamorfica della vita, perché – come ancora osserva María Zambrano – «non tutto quello che è successo e succede nella storia avrà le stesse ragioni, lo stesso tipo di ragione».

La ragione si allarga spalancandosi alla misericordia, che salva dalla tentazione diabolica dello scientismo, quale criterio unico di obiettività. La vera conoscenza, dice Marìa Zambrano, non è monologo ma dialogo: curiosità amorosa, che non domanda il “come” e neppure il “cosa” ma desidera il “chi”, che sa il nome proprio di ogni uomo, che non dice “Io” ma “Tu”.

 

Che si addentra in ogni oscurità e negatività fino all’intimo punto di luce che ogni voce, ogni esperienza nascondono. La parola dei poeti, passando attraverso il tempo per realizzarsi e giungere a noi, si è fatta davvero carico del peso della storia: ha preso su di sé le inquietudini, i tormenti e le speranze degli uomini; ne ha interrogato le passioni, denunciato i disastri. Ha procurato consolazione e indennizzato, a suo modo, ogni offesa, ogni sconfitta. La poesia si è dispiegata come frutto di un’attitudine continua alla meditazione e alla verifica, come scuola permanente di integrità. Della storia la poesia è – insieme – residuo e reliquia: promessa di una futura riuscita, umanamente, più completa.

La verità del poeta – l’unica di cui uno scrittore sia capace – riflette la schiettezza commossa di un’impressione ricevuta: sigillo o orma che la realtà e il tempo hanno lasciato nel suo cuore. Il poeta dice: non in termini generici e astratti, o passivi, ma restituendo la concretezza di una circostanza vissuta. Non è superficiale riproduzione, ma rappresentazione intensiva, che fa vedere quello che già c’è. Il mistero che abita la realtà.