Le ricorrenze del 25 aprile e del 2 giugno stanno diventando – positivamente – non solo occasioni di retorica, ma di riflessione e verifica. La caduta del comunismo e l’apertura degli archivi sovietici ha fatto emergere (e confermare) un tale museo degli orrori da determinare il crollo dell’antifascismo come identificazione automatica con la democrazia. Quanto è stato fatto dai comunisti non è più celebrato acriticamente, ma è sottoposto a un approfondimento. E’ quel che si chiama “revisionismo” ovvero la rivisitazione di ciò che il comunismo ha celebrato, raccontato o demonizzato. Naturalmente la Resistenza è stata al centro di questa rilettura. Molti cliché, censure e mistificazioni l’hanno circondata.



Quando Roberto Battaglia consegnò il testo della sua “Storia della Resistenza italiana” alla Einaudi quella ricostruzione storica stesa dal punto di vista comunista sotto la sovrintendenza diretta di Luigi Longo sollevò lo sconcerto anche nell’ambiente di ex del Partito d’Azione della casa editrice torinese. In particolare a lasciare interdetti persino gli “azionisti” filocomunisti che lavoravano con Giulio Einaudi era come lo storico comunista nel ricostruire la caduta di Mussolini ne faceva risalire la causa agli scioperi del marzo 1943 ignorando completamente lo sbarco in Sicilia degli Alleati guidati da Patton e Montgomery. Ma quella impostazione licenziata per conto del Pci nel 1954 diretta ad espellere gli angloamericani dalla lotta di liberazione è diventata sempre più la versione dominante.



Sull’onda del sessantotto negli anni ’70 la situazione è peggiorata sia sul piano accademico sia sul piano istituzionale. La storiografia dell’Insmli intorno a Guido Quazza ha cristallizzato la contrapposizione tra partigiani e angloamericani e – quel che è peggio – anche le autorità pubbliche estromisero la rappresentanza degli Alleati dalle celebrazioni della stessa Liberazione. Erano gli anni del Viet Nam e del “yankee go home” e i vietnamiti erano affratellati ai partigiani.

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Tuttora nei manuali l’elemento centrale è l’enfatizzazione del Proclama del generale Alexander sulla sospensione della lotta partigiana alla vigilia del duro periodo invernale omettendo il fatto che poche settimane dopo quel proclama fu superato grazie alla missione del Clnai che incontrò Alexander e il comando alleato realizzando un accordo organico che prevedeva in particolare approvvigionamento finanziario mensile, invio di agenti per l’addestramento e lancio di munizioni. Protagonista dell’accordo fu Alfredo Pizzoni, il dimenticato presidente del Clnai, affiancato da Edgardo Sogno (Parri e Pajetta rimasero muti, il governo del Cln guidato da Bonomi si disinteressò degli incontri, era in crisi e Togliatti lavorava per essere promosso vicepresidente del Consiglio nel secondo governo Bonomi escludendo socialisti e azionisti).



 

Tommaso Piffer lavorando insieme a Valerio Riva sui finanziamenti del Pci sin dalla Resistenza approfondì l’argomento mettendo a fuoco la figura di Pizzoni e scrivendone nel 2005 la prima biografia (Il banchiere della Resistenza, Mondadori). Da Pizzoni ed il finanziamento alla Resistenza Piffer è risalito al rapporto in generale tra lotta partigiana e angloamericani. Per primo Piffer ha condotto un’ampia indagine negli archivi di Washington e Londra e ha ora realizzato un saggio ampio che demolisce in modo documentato la vulgata sulla conflittualità tra Resistenza e Alleati (Gli Alleati e la Resistenza italiana, Il Mulino, 2010).

 

Il lavoro di Piffer è particolarmente prezioso perché non è vincolato alla dimostrazione di una tesi precostituita: ridimensionamento o degli Alleati o della Resistenza.

 

Fornendo dati e scrivendo pagine nuove, è particolarmente da rilevare come Piffer sebbene sia un giovane dimostri una matura capacità di mettere a fuoco l’intreccio tra aspetti politici e militari. Emerge quindi la Resistenza in modo nuovo e più convincente. La Resistenza non fu marginale e vediamo proprio attraverso i rapporti dei servizi segreti e degli agenti paracadutati nei territori occupati dai tedeschi come cresca l’impegno alleato a favore dei partigiani.

 

Piffer mette bene in evidenza l’apporto “militare” del ruolo “politico” dei partigiani ovvero la capacità dei Cln di “pacificare” le città liberate e cioè di assicurarne il governo in modo riconosciuto dalla popolazione. Ciò consentiva agli Alleati di avanzare più rapidamente senza pericoli alle spalle. D’altra parte man mano che crescevano l’addestramento ed il rifornimento da parte degli Alleati, i partigiani operavano sempre più efficacemente come “spina nel fianco” dei tedeschi e poi salvaguardando gli impianti industriali e fornendo preziose informazioni per gli Alleati.

 

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Emerge così il volto specifico della situazione italiana nel quadro della scena bellica europea: un partito comunista che a differenza di quello greco e jugoslavo operava su indicazione diretta di Stalin in modo unitario verso gli altri partiti antifascisti e non conflittuale con gli angloamericani. Vi era inoltre un governo post/antifascista che evitava “vuoti di potere” e pericoli di guerra civile dopo la ritirata tedesca ed infine una forte presenza militare anglo americana in pieno accordo con tutte le forze politiche.

 

E’ in questo quadro di particolare “stabilità” che Piffer ricostruisce due caratteristiche conseguenze finora poco presenti nella rappresentazione di quel periodo: la forte conflittualità che si verificò tra Oss e Soe (proprio perché gli americani pensarono che in un tal quadro relativamente stabile potevano agire in modo autonomo e dimostrare un maggior protagonismo rispetto agli inglesi) e, di conseguenza, l’intraprendenza americana a favore dei comunisti tanto da arrivare alla firma di un accordo ‘ad hoc’ tra Oss e Pci. Protagonista ne fu l’agente dell’Oss Irving Goff, reduce dalla guerra di Spagna.

 

I reduci della Spagna della “Brigata Lincoln” erano notoriamente “card holders” (tesserati), filocomunisti che aprirono le porte agli uomini di Togliatti trasformandoli in agenti Oss che impartivano direttive in seno agli Alleati sui rapporti da tenere con le Brigate partigiane. Di conseguenza cade completamente il mito dell’ostilità statunitense del Pci e leggiamo anzi rapporti stesi da agenti Pci-Oss che sdrammatizzano l’azione filojugoslava dei partigiani comunisti proprio contro la Brigata Osoppo che avrà il suo epilogo nei massacri di Porzus.

 

Ancora una volta emerge come la lettura classista della storia ed in particolare la interpretazione della Resistenza dataci da Roberto Battaglia a Claudio Pavone secondo la triade lotta nazionale, lotta democratica, lotta di classe rispecchi un cliché ideologico, un modo di leggere la Resistenza alla luce di come era stata letta la Rivoluzione francese alla luce della Rivoluzione d’Ottobre che ha trasformato l’insegnamento della storia d’Italia in una sorta di cineteca di film del “realismo socialista”.

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