Per gentile concessione dell’autore, anticipiamo un capitolo dell’ultimo libro di David Schindler, Ordering Love, Eerdmans 2010, che uscirà prossimamente in Italia.
Esercitare la libertà economica, possedere proprietà privata, guadagnare un profitto e accumulare ricchezze sono tutti beni da valorizzare all’interno di una visione adeguata dell’uomo, e quindi in ogni economia. La domanda rilevante è qual è il significato preciso di quei beni e in base a quale antropologia. Comincio con una sintesi dei principi che informano il mio giudizio riguardo al senso di quei beni.
Una antropologia adeguata, fondata sia sulla fede sia sulla ragione umana, riconosce al cuore di ogni essere umano una inquietudine, un desiderio di felicità, che trova soddisfazione solo in una vita che entri nella verità che noi non apparteniamo a noi stessi. Possediamo pienamente noi stessi soltanto all’interno del recupero delle relazioni che innanzitutto ci sono date (“rapporti costitutivi”) non innanzitutto costruite da noi (“rapporti contrattuali”). L’essere umano è, nel senso più fondamentale, un dono. Un dono del Creatore, dei propri genitori, e, in realtà, di tutte le altre creature all’interno del rapporto con il Creatore. L’atto fondamentale che sorge dall’io in risposta al suo essere come dono è, quindi, la gratitudine.
Il desiderio della felicità è fondamentalmente il desiderio di amare ed essere amati e di rispondere alle cose innanzitutto intrinsecamente, in forza della loro bontà, verità e bellezza naturale, e non innanzitutto come strumenti.
Il fatto che questo desiderio di donazione grata sia iscritto nel cuore del nostro essere creaturale non implica che esso sia pienamente cosciente o facilmente realizzato nell’ordine concreto della storia, che è sempre segnata dal peccato. Significa semplicemente che, anche se la sua soddisfazione richiede sacrificio e sofferenze, questo desiderio esprime la nostra realtà più intima come uomini. Non è soltanto un “ideale” supererogatorio, che sarebbe meglio lasciare da parte in quanto irrealistico nella nostra attività pubblica o economica.
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Il conforto e il piacere, del cibo adeguato, vestiti e proprietà, sono tutti intrinsecamente buoni. Infatti, l’abbondanza materiale, nel suo significato fondamentale, è un segno continuo della sovrabbondanza caratteristica dell’atto originale di creazione di Dio. La relativa abbondanza di beni materiali è quindi essa stessa un elemento di “qualità”, non soltanto di “quantità”. E certamente non si può esercitare pienamente la libertà e l’intelligenza, se si sta morendo di fame. Il cibo e una casa hanno una certa priorità evidente. Allo stesso tempo è cruciale osservare che l’attività economica indirizzata a soddisfare il desiderio umano di cibo e casa e l’abbondanza che si sviluppa in seno a questa attività devono essere integrate con il bisogno radicale che l’uomo ha di un significato: cioè l’amore all’interno del costitutivo rapporto con gli altri.
Un concetto adeguato di ricchezza include soprattutto la ricchezza nel proprio rapporto con Dio (Lc 12, 21), con un padre e una madre, con una famiglia, con la propria comunità civile e con il mondo della natura (tutto ciò presuppone una ricchezza materiale sufficiente, precisamente per queste relazioni ed integrale ad esse). Povertà, nel suo senso più profondo, consiste dunque nella povertà di significato che risulta dalla frammentazione di questi rapporti. Il titolo del dibattito che ha dato origine a questo capitolo, “Anime in cattività”, indica proprio questa povertà di significato.
Le forme storiche dominanti di socialismo e capitalismo liberale alimentano entrambe questa povertà di significato come conseguenza della loro logica interna, anche se in modi non uguali e asimmetrici.
(1 – continua)