Qual è il valore aggiunto che la sussidiarietà reca con sé sul piano dell’amministrazione locale, ossia sulla frontiera drammaticamente più prossima all’accelerazione delle trasformazioni sociali ed alle evidenze e necessità dei singoli?
La domanda non è da poco. Essa rifugge da ogni approccio meramente teorico o, peggio ancora, politicamente corretto; vanifica il rinvio ai soliti stereotipi di un principio (oramai anche costituzionale) più enfatizzato che conosciuto per le potenzialità applicative possedute. Piuttosto, essa rimanda ad ulteriori domande ancora più stringenti e solitamente tacitate, riguardanti il bisogno dei cittadini, la qualità della vita, le prospettive di una comunità territoriale. Domande che espongono in maniera inedita il consueto strumentario a disposizione del potere politico alle (im)prevedibili istanze di quello che un tempo si chiamava «bene comune» e, dunque, alle ragioni del vivere insieme ed alle urgenze, che il «desiderio» del singolo sempre pone a tema.
Si tratta, com’è evidente, di domande immense, che per fortuna sono periodicamente riproposte dalla Fondazione per la Sussidiarietà nell’ambito dell’annuale “Rapporto”. Rapporto che questa volta si occupa, per l’appunto, del tema delle Amministrazioni locali (Aa. Vv., Sussidiarietà e Pubblica Amministrazione locale, Rapporto sulla sussidiarietà 2009, Fondazione per la Sussidiarietà, Mondadori Università, Milano, 2010), presentato in varie sedi universitarie dal presidente, prof. Giorgio Vittadini.
Leggendolo, viene in mente quello che può essere considerato il merito storico principale della Fondazione. Esso consiste non solo nell’aver contribuito ad introdurre nel dibattito culturale e politico degli anni ’90 il tema della sussidiarietà, favorendone il recepimento in sede legislativa e costituzionale; più ancora, risiede nell’avere – per così dire – sdoganato il principio medesimo, trasformandolo da mero criterio di distribuzione delle competenze fra potere pubblico ed iniziativa privata, a parametro di valutazione delle politiche sociali nazionali e locali e, dunque, a strumento di riconoscimento e valorizzazione della persona nella sua concretezza storica. La sussidiarietà, per tale via, da criterio capace di coinvolgere la società civile nello svolgimento dei servizi pubblici, è stata progressivamente intesa quale possibile fondamento di un sistema di welfare partecipato, solidale e trasparente, sino ad essere considerata quale principio che esalta la creatività umana tout court.
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Si tratta di un percorso ermeneutico e di approfondimento, in cui (come già rilevato nel “Rapporto 2007”) emerge il profilo eversivo del principio, con riguardo agli effetti nel sistema della forma di Stato, ed in cui si evidenzia l’attitudine dello stesso a favorire un bipolarismo maturo, con riferimento alle potenziali implicazioni nell’assetto della forma di governo. Da un lato, infatti, esso esige una ridefinizione del rapporto tra rappresentati e rappresentanti, valorizza il nesso di responsabilità, pretende che chi paga sia messo in condizioni di comprendere il perché, sposta l’attenzione dalla forma al contenuto degli atti. Dall’altro lato, del pari, aiuta un bipolarismo maturo, perché tende a ridurre l’area di gestione diretta dello Stato e del settore pubblico: meno traumatica è l’alternanza se è ridotta l’area del pubblico, se sono decentrate le decisioni fra più livelli di governo in cui sono presenti maggioranze fra loro diverse.
Nondimeno, si tratta di considerazioni che faticano ad esser rese effettive soprattutto nel Mezzogiorno d’Italia, dove sono ancora più evidenti i ritardi al riguardo. L’effettiva attuazione d’ogni principio, del resto, non discende automaticamente dalla relativa formalizzazione in un testo normativo; piuttosto, presuppone un sostrato culturale idoneo a favorirne l’implementazione ed a sorreggerne lo sforzo di realizzazione.
Esemplificando, potrebbe dirsi che vale nella specie, quanto verificatosi all’indomani dell’entrata in vigore della Costituzione repubblicana a seguito dell’irrompere dei nuovi principi. All’epoca i singoli giudici si trovarono a dover interpretare la passata legislazione fascista alla luce di parametri e precetti che, prima ancora di essere applicati, richiedevano una personale e consapevole assimilazione critica. Analogamente, anche oggi le singole amministrazioni e gli enti territoriali si trovano a dover conformare il proprio agire alla luce di una prospettiva antitetica a quella statalistica imperante sino alla fine degli anni ’90, tale da presupporre una pari personalizzazione delle novità introdotte. E così, il compito di rendere effettive dette novità è affidato in special modo alla capacità creativa del personale amministrativo, oltreché di quello politico nelle varie sedi di rappresentanza. Di qui, l’opportunità di incrementare iniziative varie d’aggiornamento e formazione dei singoli operatori, chiamati ad applicare le innovazioni introdotte.
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Il Rapporto di quest’anno presenta un’indagine che raccoglie le risposte dei funzionari addetti ai servizi di welfare (dei Comuni italiani superiori a 10.000 abitanti) a domande relative sia al principio in generale, sia a come lo stesso è stato attuato nel settore di rispettiva competenza. Completa la ricerca un’indagine tra i cittadini, volta a tastare il polso dell’utente medio a riguardo dei servizi sociali, per comprendere quale sia la relativa percezione nel rapporto con l’amministrazione.
I Comuni, del resto, sono il livello di governo più vicino ai cittadini (art. 118 Cost.) e le politiche sociali attengono al settore che più risente dell’attenzione degli elettori, per l’evidenza empirica che provoca sul benessere delle persone. Se nel progettare i servizi alla collettività l’ente pubblico si muove secondo i principi “sussidiari” della fiducia e della responsabilità, ponendo al centro la persona, ne deriva per gli utenti la possibilità di fruire di servizi differenziati sia quantitativamente, sia, soprattutto, qualitativamente. Sostenere in senso sussidiario e non assistenzialista i cittadini, significa avere a cuore primariamente la loro libertà di scelta.
Del resto, lo stretto legame rinvenibile fra il principio in questione ed il profilo qualitativo dell’intervento fornito dal soggetto erogatore e prescelto dal singolo fruitore, non è solamente consequenziale, ma – per così dire – costituzionalmente dovuto. Se è incontestabile che la moltiplicazione delle offerte «favorite» (art. 118, ult. comma, Cost.) dall’assetto sussidiario del sistema delle erogazioni sociali, si risolva nella valorizzazione del profilo qualitativo delle prestazioni (nel senso che, moltiplicandosi le offerte, la scelta del fruitore può finalmente cadere sulla prestazione reputata qualitativamente più rispondente alle necessità vantate), è anche vero che tale consequenzialità è direttamente connessa ad una dimensione dei diritti coinvolti, il cui riflesso organizzativo è rappresentato, per l’appunto, dal principio di sussidiarietà. Ed invero, tanto i diritti di libertà, quanto i diritti sociali (partecipando i secondi del carattere fondamentale dei primi), non esauriscono il proprio raggio d’azione nel determinare il solo rapporto del cittadino con lo Stato; interessano piuttosto la complessiva vita del medesimo cittadino, colto nella sua relazione d’appartenenza con le comunità di riferimento e considerato nel quadro dell’ordinamento costituzionale.
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L’Introduzione al Rapporto termina rilevando che, in un momento in cui “tutto cospira a distrarre l’attenzione del pubblico dai problemi reali, dalle cose da fare, dai contenuti ideali e concreti su cui plasmare le proprie azioni”, riflettere sulla sussidiarietà significa “partire da esperienze in atto e da quello che si vorrebbe veder compiuto da un’Amministrazione moderna ed efficiente, riprendendo il tema del bene comune”. Vengono in mente quei versi di Rilke, che amava ripetere Don Giussani: “E tutto cospira a tacere di noi / un po’ come si tace / un’onta, forse, un po’ come si tace / una speranza ineffabile». Forse è anche per questo che sussidiarietà è sinonimo di “creatività umana”.