22 artisti. A ciascuno una stanza. Ogni porta che si apre, è come un film nuovo che inizia. La formula di Giorni felici, la mostra che per il secondo anno occupa la grande casa che fu di Giovanni Testori a Novate è molto semplice. E forse questa semplicità spiega il successo di pubblico che anche quest’anno sta ottenendo. 3800 visitatori lo scorso anno in 10 giorni. Mille solo all’inaugurazione quest’anno (dura sino all’11 luglio), nonostante la contemporanea inaugurazione all’Hangar Bicocca della mostra di Boltanski. È una specie di pendolarismo alla rovescia, grazie al quale il pubblico della città si muove attratto da un evento promosso dal territorio: far breccia nei flussi che abitualmente muovono il popolo delle mostre non è cosa scontata, come sa chiunque organizzi mostre fuori dall’area magnetica di Milano (dove peraltro le gallerie sono spesso bellissime ma sempre vuote).
Essendo parte in causa nell’organizzazione di Giorni Felici, mi sono chiesto a cosa sia dovuto questo successo. E qualche spiegazione l’ho trovata. La prima è il nome di Testori, che più passano gli anni più viene riscoperto come personaggio di straordinaria vitalità e interesse: non è un caso che due sue opere teatrali, rappresentate in teatri di periferia, abbiano avuto un clamoroso successo di critica e di pubblico con esauriti a ripetizione (si tratta della Gilda data all’Out off e della Cleopatràs di Arianna Scommegna al teatro Ringhiera: lei tra l’altro è una delle sorprese di Giorni Felici: stanza numero 21).
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La seconda spiegazione sta nel non-dogmatismo insito nella formula. Stanza dopo stanza si confrontano linguaggi, sensibilità, generazioni diverse. È il luogo-casa a fare da trait d’union, a dare quell’energia insolita per una rassegna d’arte che senti correre di ambiente in ambiente. E in cosa consiste questa energia? Consiste nel fatto che un artista arrivando qui si sente di scoprire le sue carte, proprio perché l’ambiente casa lo induce a questo. L’arte contemporanea, in genere trincerata dietro i suoi linguaggi enigmatici e un po’ scostanti, spinta dai curatori in una nicchia di esclusività, a Casa Testori si lascia approcciare. Si mette a nudo, come fosse in un ambiente fidato. E il visitatore che arriva sperimenta un approccio del tutto inedito: la curiosità di capire e di scoprire. Ogni stanza è come uno sguardo diverso sul mondo; e, trattandosi di artisti, si tratta sempre di sguardi inediti, imprevisti, destinati a suscitare domande, a interpellare chi varca ognuna di quelle porte. A Casa Testori l’arte contemporanea non è più un questione per gli adepti ma si apre allo sguardo comune, scoprendo di non essere così distante e così astrale.
Per questo, a chiusura del percorso, si è pensato di chiedere ai visitatori quale fosse la stanza loro preferita. Non è un referendum sugli artisti, ma sui luoghi che hanno creato, sull’interrelazione che hanno saputo determinare con i visitatori. Non c’entra il gusto. C’entra l’emozione ricevuta, la riflessione suscitata, l’impressione che ne resta. Un modo per andare la semplice reattività del “mi piace – non mi piace”. Se gli artisti a Casa Testori si “addomesticano”, i visitatori si alfabetizzano ai linguaggi dell’arte contemporanea…