Intorno alla figura della Vergine madre di Cristo l’arte e la cultura religiosa hanno ricamato un intreccio imponente di parole e di immagini simboliche. Dal cuore di questo fiume ininterrotto, affiora la tradizione di una pratica devota antica e un tempo capillarmente ramificata: quella della «salutatio membrorum», che «passava in rassegna, dal capo ai piedi – ha scritto Giovanni Pozzi -, le membra di Maria dando a ciascuna la sua lode».



Le sue origini erano comunemente ricollegate alle visioni di santa Brigida di Svezia. Ma la formula a lei fatta risalire è probabilmente spuria e rifonde materiali di provenienza eterogenea. Fu una specie di devozione «molto praticata negli ambienti della “devotio moderna”» e «se ne trovano ancora tracce nei manuali di pietà del Seicento».



Il sottofondo dottrinale della «rassegna delle parti anatomiche» della Madonna, da cui scaturiva l’elogio della sua proporzionata, luminosa e assolutamente unica bellezza, era il principio del Tota pulchra, esaltato da una robustissima tradizione teologico-liturgica, oltre che tradotto in uno stile di rappresentazione iconografica che contribuì in modo determinante a far trionfare la virtù, fra tutte emblematica, dell’Immacolata Concezione.

La sottolineatura dell’eccellenza estetica di Maria si presenta però sempre strettamente intrecciata a quella della grandezza inesauribile della sua fecondità materna. Per questo le Avemarie, o le altre preghiere da recitare immaginando di collegarle al capo, agli occhi, alla bocca e a tutti i sensi fisici di Maria si abbassavano, poi, fino a toccare le braccia che avevano accudito al Divino Bambino, il seno gonfio di vitalità nutriente che l’aveva allattato, il «ventre» che l’aveva generato, le ginocchia e i piedi di colei che l’aveva sostenuto e trasportato da un luogo all’altro quando era bambino e anzi prima ancora di nascere, cominciando dalla visita a Elisabetta.



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Questo assetto realistico, materializzato in forma sensibile e fortemente coinvolgente sul piano emotivo della pietà mariana, potenziato da san Bernardo e dai cistercensi («Monstra te esse matrem…»), condiviso da Iacopo da Varazze e dai più importanti predicatori del Quattrocento, va visto come lo sbocco di una evoluzione più ampia, dominata dal progressivo affermarsi del rilievo di Maria sulla scena della pietà collettiva del mondo cristiano, solo più tardi amputata dalle fratture che spezzarono l’unità religiosa dell’Occidente a seguito della riforma protestante.

 

L’Italia, e specialmente l’Italia del centro-nord, è stata indicata come il teatro più vistoso di dispiegamento di questo fenomeno cruciale. Si parla di una vera e propria «esplosione» del culto rivolto alla mediatrice per eccellenza della beneficenza del cielo, che molteplici indizi conducono a collocare nell’età di cerniera del tardo Medioevo e del Rinascimento, tra il XIV e il XVI secolo.

 

Il “trionfo” così tardivo di Maria si tradusse nella tessitura di una rete di santuari univocamente dedicati al culto delle immagini e alla promozione dei miracoli attribuiti alla potente intercessione dell’«Avvocata nostra» per antonomasia. Alcuni erano santuari che divennero capaci di vastissimo richiamo, come Loreto; altri rimasero di carattere più regionale o solo locale; potevano essere di nuova fondazione, o fondarsi sul rilancio di luoghi sacri preesistenti.

 

Il decollo di una devozione spinta a diventare egemone trascinò con sé lo sviluppo o il rimodellamento di forme di pietà adattate alle nuove circostanze. Vide l’emergere di originali tradizioni iconografiche e la sanzione sempre più esplicita dell’eccellenza della figura di Maria attraverso impegnativi riconoscimenti dottrinali, con l’introduzione di rituali liturgici che alimentarono la crescita di nuove festività nella cornice del calendario annuale.

 

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Con l’avanzata della pietà gravitante intorno alle immagini potenti e ai centri di culto della Regina sempre più celebrata del cielo cristiano, alle soglie della prima età moderna si assiste a un grande movimento di costruzione di una nuova rete di punti di ancoraggio attraverso i quali il mantello della religione poteva avvolgere la società degli uomini, distendendosi sopra il tessuto delle città e delle comunità riunite intorno alle loro chiese e ai loro segni sacri.

 

La Madonna che, da allora in poi, espande il suo raggio di tutela sulla cristianità, appoggiandosi al sostegno di Roma, è la Vergine che si presenta soprattutto nelle vesti positive di «madre di misericordia, amica della pietà, consigliatrice del genere umano»: così la dipinge, molto fiduciosamente, la lettera di indulgenze di Gregorio XI inviata alla chiesa di S. Maria di Loreto nel 1375, che sembra essere la prima attestazione di interesse da parte della Sede Apostolica per il santuario destinato ad affermarsi in forme grandiose nel cuore dei suoi dominî dell’Italia centrale, presto assorbito sotto il suo diretto monopolio di gestione, scavalcando tutte le gerarchie e i poteri ecclesiastici inferiori.

 

La pietà di cui Maria si afferma come snodo nevralgico è quella destinata a «rassicurare» e a «proteggere». Per questo l’iconografia che ne universalizza l’immagine materna e premurosa ama insistere sempre di più sulla tenerezza della sua umanità che si piega spingendosi al sollievo degli uomini sofferenti e peccatori.

 

All’immagine regale della Vergine in trono tende a sostituirsi il primato della Madonna della Misericordia che allarga soccorrevole il suo mantello cingendo in un abbraccio di protezione le confraternite di devoti che si consegnano al suo patronato, esaltato come un ponte di collegamento gettato verso il cielo, dove regna un giudice divino che lei più di chiunque altro è in grado di smuovere per far precedere le grazie e il perdono rispetto ai castighi e alle pene severe.

 

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Anche in un’altra delle linee maestre di sviluppo della pietà mariana tardomedievale, quella che si dipana intorno alla contemplazione dei misteri della Madonna del Rosario, la funzione assicurativa e di tutela a favore del guadagno di grazie, dell’accumulo di indulgenze e in vista di una buona morte finì con il prendere il sopravvento sugli aspetti più intellettuali della pratica meditativa introdotta dalla lettura dei testi di pietà e dalla visione delle loro immagini evocative.

 

Le corone per il computo delle rose di preghiera offerte a Maria secondo la loro precisa scansione litanica divennero un’àncora di salvezza alla quale aggrapparsi, e anche nell’iconografia le si poté rappresentare come una catena capace di sollevare verso il cielo chi aveva più bisogno di aiuto, soprattutto quando l’immagine della Madonna del Rosario cominciò a essere avvicinata a quella delle anime purganti, bruciate dal desiderio di essere liberate dalle loro (redimibili) pene purificatrici.