È noto che l’ira dantesca nei confronti di prelati e papi del suo tempo ricorre spesso nel corso della Commedia. Essa è sovente una forma tutta personale di sdegno, in cui si rivela l’amore senza riserve per la Chiesa, che Dante vorrebbe più povera a pura, com’è nella sua natura di sposa di Cristo.

C’è un episodio poco conosciuto del Purgatorio, sulle cui fonti la critica ha ampiamente dibattuto, in cui Dante incontra Adriano V, al secolo Ottobono Fieschi dei conti di Lavagna. Dopo aver esercitato incarichi ecclesiastici di prestigio, a tarda età fu eletto papa nel 1276 e morì dopo solo 38 giorni di pontificato.



In questo caso la voce di Dante è diversa, anche se la penitenza che il pontefice compie insieme agli altri avari che gli stanno intorno è molto umiliante: con le mani e i piedi legati, tutti sono distesi a terra bocconi e piangono il peccato per cui, pur salvati, sono ancora lontani dal vedere il volto di Dio.

Nella sua vita terrena Adriano V si era dato molto da fare per la propria riuscita, ora si ritrova con tutto il corpo fisso a quella polvere da cui era stato irretito. Ma sul limitare degli ultimi giorni, seppe sollevare lo sguardo a quel Bene più grande di tutti gli onori. Ben lontano dal tacere di essere stato successore di Pietro, in modo succinto narra l’opera più grande che gli fu concesso di compiere da Papa, la propria conversione:



Un mese e poco più prova’ io come

pesa il gran manto a chi dal fango il guarda,

che piuma sembran tutte l’altre some.

La mia conversione, omè!, fu tarda;

ma come fatto fui roman pastore,

così scopersi la vita bugiarda.

Vidi che lì non s’acquetava il core,

né più salir potiesi in quella vita;

per che di questa in me s’accese amore.

(Purgatorio 19, 103-111).

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Per tutta la sua vita era stato dominato da quella cattiva ambizione che fa bramare sopra ogni cosa il potere mondano e, una volta giunto alla carica suprema che allora si potesse desiderare, comprese l’illusione costituita dal successo di tutti i passi della sua carriera ecclesiastica. Fu lì, al vertice dello scopo che si era prefisso, che scoprì che il suo cuore non era appagato e desiderò finalmente l’amore di Dio che solo rende felici. Percorso singolare, ma quanto vicino a quello di molti uomini, come mostra il salmo 118, non a caso citato poco sopra nel testo dantesco:



 

La mia anima aderisce alla polvere, dammi vita secondo la tua parola.

Ti ho manifestato le mie vie e mi hai risposto; insegnami i tuoi voleri.

Fammi conoscere la via dei tuoi precetti e mediterò i tuoi prodigi.

Io piango nella tristezza; sollevami secondo la tua promessa.

Tieni lontana da me la via della menzogna, fammi dono della tua legge.

Ho scelto la via della giustizia, mi sono proposto i tuoi giudizi.

Ho aderito ai tuoi insegnamenti, Signore, che io non resti confuso.

Corro per la via dei tuoi comandamenti, perché hai dilatato il mio cuore.

 

È solo un invito a confrontare quante parole nei due testi si rincorrano. Nella tradizione cristiana sono riposti tanti tesori, che talvolta è dato di riscoprire.