Lo scorso 2 luglio Giovanni Maddalena ha scritto su questo giornale che “la mentalità filosofica di oggi è dominata da quello che si chiama naturalismo” e ne ha identificato il tratto fondamentale nel rifiuto dell’idea che la realtà possa essere segno di qualcosa di altro da sé.

Mi trovo sostanzialmente d’accordo con la diagnosi circa la mentalità filosofica dominante, ma non sono del tutto sicuro che il tratto distintivo del naturalismo contemporaneo, cioè del naturalismo American Style, sia quello indicato da Maddalena. O per lo meno vorrei suggerirne una lettura alternativa. Che la realtà non possa essere considerata segno di altro da sé, infatti, è una posizione che potrebbe essere condivisa appieno anche da un filosofo come Kant che pure era tutt’altro che naturalista e ammetteva che non vi sono soltanto processi fisici ma anche l’umana libertà!



La mia ipotesi, derivata dalla lettura e dalla frequentazione di alcuni filosofi americani contemporanei attivi in particolare nell’ambito della cosiddetta “filosofia della mente”, è che il naturalismo American Style sia in primo luogo un assunto di base che vuole esprimere una sorta di pudore intellettuale del filosofo che lo distingua dalla grande massa.



Gli Stati Uniti sono un grande Paese, popolato tuttavia in larga parte da fanatici della Bibbia scettici rispetto all’uso della ragione e avversi alla filosofia in nome di un fideismo emozionale, spesso dagli esiti violenti. Ricordiamo che vi sono scuole in cui è vietato insegnare la teoria dell’evoluzione e talk show televisivi in cui sedicenti teologi discutono accanitamente per capire se i fossili dei dinosauri siano stati architettati da Dio per mettere alla prova la fede dei suoi eletti o dal Diavolo per tentarli. Ci sono sette con milioni di fedeli che credono che nell’aldilà ciascuno avrà un proprio pianeta da popolare interamente con i figli generati dalle proprie mogli. La lista delle stramberie potrebbe continuare.



Ora, di fronte a questo scempio di credenze bizzarre e infondate, il filosofo cerca nel naturalismo una specie di argine minimale per “orientarsi nel pensiero”. Non è un caso che il naturalismo o “fisicalismo” nella maggior parte dei casi non sia l’esito di un’analisi filosofica ma un punto di partenza, una specie di patto stipulato tra gli addetti ai lavori che vogliono crearsi uno spazio di pensiero immune alle superstizioni.

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Tutto ciò che sembra alludere a una dimensione ulteriore a quella materiale, compresa, ad esempio, la psiche umana è visto come un potenziale fianco aperto a visioni del mondo che, spesso impugnando la Bibbia, sfociano nell’irrazionalità più totale. Di qui, ad esempio, i fiumi di inchiostro versati negli scorsi decenni per articolare nel modo più solido possibile la tesi che gli stati mentali sono semplicemente identici agli stati fisici del cervello (qualunque cosa questo voglia dire). Di fronte alle superstizioni che imperversano, il naturalismo appare come uno spazio di pensiero angusto ma per lo meno sicuro.

 

C’è un solo problema: il naturalismo, a ben vedere, non è meno irrazionale delle dottrine bizzarre dei vari Bible Freaks. In entrambi i casi siamo di fronte a un uso molto ristretto e pregiudicato della ragione. Nell’un caso si vuole ammettere solo ciò che è compatibile con superstizioni a sfondo biblico. Nell’altro si vuole restringere la ragione a contare atomi e molecole. In entrambi i casi ciò che è auspicabile è, come voleva Husserl, un ritorno alle cose stesse, così come si danno nell’esperienza. Perché l’esperienza non è né superstiziosa né naturalista.