Forse perché il colore del sole è giallo o per qualche altro motivo, sta di fatto che d’estate, più che in altri periodi, la televisione è piena zeppa di serie poliziesche.

Le ragioni del successo dei gialli sulla carta stampata come nei filmati pesca nel desiderio di avventura che diviene un diversivo rispetto alla monotonia quotidiana. È vero che anche la cronaca nera non è avara: di recente dieci donne sono state uccise in tre settimane da compagni delusi e violenti. Allora perché, se già la realtà è così inquietante, l’attrattiva per storie che ne costituiscono per così dire una amplificazione?



Un primo motivo potrebbe essere che il nostro desiderio di giustizia è appagato dal fatto che nelle serie poliziesche il colpevole viene scoperto: sono storie generalmente a lieto fine, se così ci si può esprimere per un delitto. Se poi chi l’ha compiuto è guardato, come non di rado avviene, con comprensione e non semplicemente condannato, ancora meglio: quella pietà senza la quale la giustizia è disumana trova uno spunto facile e non impegnativo per affermarsi.



Un’altra ragione del successo dei gialli consiste nel fatto che essi offrono la possibilità di un gioco intellettuale che coinvolge il lettore o lo spettatore: la ricerca degli indizi attraverso i quali giungere alla soluzione del caso. Ciò tende a ridurre la distanza tra l’autore e il pubblico e consente spesso di indovinare l’epilogo. E anche questa è una soddisfazione.

Per i più esigenti e quando chi scrive è di un certo livello, i polizieschi costituiscono anche una palestra di indagine sull’animo umano quanto mai impervia e interessante. Molti meccanismi consueti delle nostre passioni muovono i delitti: l’invidia, la gelosia, un grave dolore non accettato, il desiderio di vendicare un torto subito o supposto, il bisogno di punire un’offesa, di impadronirsi di ciò che si ritiene proprio e di cui si è privi.



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Non occorre addentrarsi in menti criminali e perverse, basta osservare in altri le gravi conseguenze di quei moti che, se non tenuti a freno, generano le infinite piccole violenze di cui è intessuta la vita di tutti. Questo esercizio è molto utile per la curiosità intellettuale e permette a chi non è superficiale il paragone con gli atteggiamenti che normalmente intessono le relazioni umane.

 

La curiosità che caratterizza l’intelligenza è spesso sollecitata più dal male che dal bene; è evidente che gli episodi di cronaca nera attivano una attenzione che talvolta è morbosa. Distogliere lo sguardo dagli aspetti più cupi dell’animo e rivolgerli verso la luce appare una operazione difficile: anche in questo costume si palesa la frattura presente nell’uomo, chiamato alla felicità e così spesso irretito dal male.

Scandagliare gli abissi del cuore è una operazione affascinante e nei polizieschi il commissario ne è l’attore principale. La risoluzione del caso è affidata al suo intuito, alla sua esperienza, alla sua malcelata freddezza. La cosa più bella che può avvenire alla fine di un giallo è il sentimento di incredula pietà che si dipinge sul suo volto. Non spetta a lui giudicare e questo lo rende libero. Il commissario è, in fondo, la figura dell’uomo che trova la spiegazione e con questo il suo compito è finito; ma la sua pensosità va oltre, il suo lavoro stesso lo spinge a indagare sul mistero dell’uomo. Il caso non è mai chiuso.