Le pareti di vetro dei tre palazzi del potere europeo, promessa di glasnost senza riserve, si stagliano sulla croce di acque disegnata nell’area nordest di Strasburgo dal fiume Ill e dai suoi canali. E adesso è proprio la croce, il crocifisso, a metterli al crogiolo politico, giuridico e culturale. Infatti la sorte del dibattimento della Grande Chambre sulla revisione della sentenza contro l’esposizione del simbolo cristiano nelle scuole italiane non coinvolge solo la Corte europea dei diritti dell’uomo (Cedu), ma in qualche modo anche il Consiglio d’Europa (a cui aderiscono 47 Paesi) che trova nei magistrati inquilini dei tre cilindri di vetro il suo vero braccio esecutivo, e anche l’Unione europea (27 Paesi) il cui Parlamento è dirimpettaio della Corte a Strasburgo.
Da quando il Trattato di Lisbona ha recepito la Convenzione europea dei diritti dell’uomo – in sostanza le “tavole della legge” per la Corte -, quest’ultima sta acquisendo la supervisione in tutto lo spazio giuridico del Vecchio continente (proprio mercoledì 7 luglio la Ue ha iniziato il negoziato con i rappresentanti del Consiglio sulla sua adesione alla Convenzione).
Dunque un osservatore attento non può non constatare che proprio in occasione del dibattimento sul crocifisso viene al pettine un intricatissimo nodo politico, istituzionale e culturale dell’Europa. E non è difficile avvertire che un pronunciamento a favore del valore del simbolo cristiano, dell’antropologia e della filosofia politica che in esso sono inscritte, indicherebbe la via virtuosa di una fuoriuscita dall’impasse.
Ma cerchiamo di descrivere in qualche modo i complessi nodi che avvinghiano la Corte. La sua “mission”, concepita nel dopoguerra anche con la firma a Roma il 4 novembre del 1950 della Convenzione, è principalmente scongiurare nuovi soprusi dei totalitarismi nei confronti del singolo. Da qui la possibilità dell’individuo di adire con un ricorso direttamente alla Cedu, via impossibile in Italia per chi volesse direttamente bussare alla porta della Corte costituzionale. Dunque le sentenze di Strasburgo mirano a porre rimedio al caso singolo.
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Nello specifico del crocifisso la sentenza del 3 novembre, in riesame dopo il ricorso del nostro Paese, non obbliga lo Stato italiano a togliere i simboli cristiani dalle aule scolastiche, ma a rimborsare per danno morale alla ricorrente Soile Lautsi 5mila euro più interessi. Ma proprio il meccanismo del ricorso del singolo ha portato all’esplosione dei procedimenti pendenti: circa 120mila all’inizio del 2010. Le vie d’uscita da un simile intoppo possono essere molteplici, ma allo stato se ne profilano sostanzialmente due.
Da un lato rafforzare, ed è ciò che di fatto sta avvenendo, il potere della Corte in modo tale che di fronte al ripetersi di casi simili, si ingiunga allo Stato in causa di mutare le norme ordinamentali che li provocano. Ma in questo modo Strasburgo rischia di trasformarsi in una sorta di Corte costituzionale attivata da un ricorso personale, con tutte le conseguenze che questo può avere in un’Europa nella quale si assiste al proliferare di una sorta di “kamikaze” dell’individualismo: cioè singoli disposti a offrire su un piatto la loro privacy e le loro relazioni personali, allo scopo di farne materiali esplosivi contro il senso comune consolidato nel diritto e negli ordinamenti del Vecchio continente.
Un processo analogo avviene al livello del concetto che permette di definire le minoranze. Infatti tutta la fondamentale riflessione di Hannah Arendt sulle discriminazioni e persecuzioni da esse subite, soprattutto a cavallo delle due guerre mondiali, viene stravolta in nome di minoranze artificiose che non mirano altro che a inibire quel processo sempre vivo e aperto di elaborazione del senso comune sulla base di una tradizione comune. È un attacco ad un patrimonio collettivo in continua elaborazione che è possibile grazie ad una alleanza degli individualismi con alcune avanguardie dirigiste della magistratura europea.
Ci potrebbe essere un’altra via d’uscita, quella costituita dalla sussidiarietà, riaffermata nella conferenza di Interlaken, che si è tenuta il 18-19 febbraio in Svizzera, con il compito di pensare al futuro della Cedu. Ma il rischio è che tale principio sia interpretato in una chiave strettamente verticale (procedurale) con l’implicita premessa che i tribunali nazionali sposino in toto i criteri di Strasburgo. È proprio questa linea ermeneutica che sembra sposare l’attuale segretario generale del Consiglio d’Europa, Thorbjørn Jagland, molto attivo nel portare avanti la riforma del Consiglio e della Corte.
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Ma c’è anche un altro modo per declinare la sussidiarietà, che consiste nel riconoscimento di un adeguato margine di apprezzamento da parte degli Stati membri in materia di etica, famiglia, e di rapporti con le religioni. Questa concezione può essere considerata una versione, in chiave nazionale, della nota sussidiarietà orizzontale, perché valorizza relazioni culturali e storiche sviluppatesi all’interno di uno Stato.
È chiaro che proprio la vicenda del crocifisso è un test chiave per intendere quale tipo di sussidiarietà Strasburgo vuole adottare. L’alternativa, dunque, è tra un sterile filo diretto tra individualismi e dispotismo dei procedimenti giudiziari, da una parte, e, dall’altra, il valore della persona intesa, come nella nostra Costituzione, nel vivo delle sua socialità. In questo senso si ripropone l’universalismo dell’umanesimo cristiano che è alla base della Dichiarazione universale dei diritti umani approvata dalle Nazioni Unite nel 1948, di cui la Convenzione alla sua origine costituisce la riproposizione europea. Ma quale simbolo può rappresentare questi valori meglio del crocifisso?
Del resto proprio il dibattimento di fine giugno alla Grande Chambre ha segnato un’inedita convergenza a difesa della posizione italiana tra un giurista ebreo osservante, Joseph Weiler, numerosi Paesi di religione prevalentemente ortodossa, come la Federazione russa, una organizzazione sorta negli Usa di legali protestanti, cattolici, ed ebrei (Alliance defence fund), attivi in tutto il mondo in difesa della vita e della famiglia. Novità che meriterebbero una più attenta analisi.