Potete seguire il filo del calendario, sala fissa (A1) e orario pure (le tre del pomeriggio), a buttare un’ancora salda nel mare convulso e allegro delle giornate riminesi. O farvi guidare dal titolo che le lega, una dopo l’altra: “Al cuore dell’esperienza”, a ricordare che lì si raccontano vite, non teorie. Oppure potete chiamarle semplicemente così, come si è abituato a fare in questi anni il popolo della Fiera: “le testimonianze”. Volti e storie di gente cambiata, sul palco a raccontare che cosa l’ha cambiata.
Pensateci bene: senza, non ci sarebbe il Meeting. Non sarebbe possibile. Non solo perché sono diventate la cifra più potente delle ultime edizioni (ricordate l’impatto di Vicky, o dei carcerati di Padova, o di padre Aldo Trento, e tanti altri?). E neanche perché, ormai, danno il tono a tutto il resto. È vero, ogni incontro della kermesse, dalla tavola rotonda sul tema più ostico alla chiacchierata fitta con il volontario al bar, è sempre in qualche modo una testimonianza, il racconto di un’esperienza personale. Ma il punto non è nemmeno quello. È che i testimoni sono la chiave della conoscenza, la via maestra per accedere alla realtà. Alla nostra realtà, di uomini.
Facciamo esperienza dell’umano attraverso incontri e racconti, l’impatto con qualcosa – e qualcuno – che ci colpisce e ci attira. Ci commuove. È così che si conosce, non per idee e ragionamenti: quelli arrivano dopo. Soprattutto, è così che si conoscono le cose che ci interessano di più. La giustizia. La bellezza. La bontà. La felicità. Oltre le idee, più in là dei ragionamenti, possiamo vederle davvero – e iniziare a capire di che si tratta – quando prendono carne. Diventano vite. Esperienze in atto. Testimoni, appunto.
Ci si può scommettere, ma è questo che accadrà, anche nel prossimo Meeting. E accadrà incontrando Rose Busingye e i ragazzi che attorno a lei stanno diventando uomini in Uganda; o Fiammetta Cappellini, il volto di Avsi nell’Haiti sventrata dal terremoto; o Margherita Coletta, la vedova di una delle vittime di Nassirya; o gli altri protagonisti degli “incontri delle tre”. Sarà (anche) guardando a loro che si potrà vedere in azione cosa può essere l’uomo se dà spazio al suo cuore. Se non toglie neanche un grammo d’aria al fuoco che gli brucia dentro, al suo desiderio di felicità. E se fa i conti davvero con ciò che corrisponde a quel desiderio fino in fondo: l’incontro con Cristo.
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Se il cuore è fatto per grandi cose, è in testimoni così che diventa possibile vederle. La grandezza avviene, fa parte della nostra statura. E Dio non viene a spiegarcela: facendosi compagno a noi, la fa accadere. Fa accadere la pienezza dell’umano. E lo fa in certe persone – o momenti di persone – con più potenza ed evidenza, perché diventi più chiaro un metodo accessibile a tutti: seguire Lui, la Sua presenza. Una strada percorribile da me e da te.
Teniamolo presente, quando saremo di fronte alla testimonianza imponente della signora Coletta. O ascolteremo la storia di Deogracious, George, Fredy e degli altri ventenni di Kampala, “rinati in un incontro” che aveva le sembianze di Rose – un’infermiera -, ma i tratti inconfondibili di uno sguardo cristiano su di loro. O la vicenda di Mireille, che sempre in Africa (ma in Camerun, stavolta: Centro Sociale Edimar di Yaoundé) testimonia, come Fiammetta, che “la speranza ricostruisce”.
O di Maria Teresa Landi, scienziata del National Institutes of Health impegnata in una trincea diversa solo per la forma da quella “terra di frontiera” di cui parleranno, invece, David Frank e padre Alfredo, rispettivamente indiano di una riserva di Vancouver e sacerdote trapiantato in Canada. Vite normali, attraversate da fatti eccezionali. Ma di quella eccezionalità che sfida il quotidiano fino a impossessarsene. E quindi sfida noi, perché il cristianesimo accade anche nelle nostre vite. In modo diverso, attraverso vicende e volti diversi, ma accade. Non “come” a quelle persone sul palco, ma “la stessa cosa” che accade a loro.
E infatti se quasi tutti, in questi anni, dalle testimonianze del Meeting sono usciti toccati, a tanti è successo di più: sono cambiati. Perché attraverso di loro hanno intravisto qualcosa in più di sé. E una strada per sé. È successo negli ultimi anni. Succederà anche quest’anno. Se il cuore sarà desto.