Ulisse è approdato anche a Rimini. Lo ha fatto ieri fra i ragazzi del Meeting, confermando la sua fama di grande viaggiatore e rinnovando il suo fascino che per una volta si può davvero definire mitico.

Nei padiglioni della fiera ha preso corpo grazie alle parole di Simone Invernizzi e di Carmine Di Martino e grazie ad alcuni grandi scrittori. Il mito e il genio sono infatti destinati spesso ad incontrarsi. Partendo da Primo Levi, che ha dedicato un capitolo intero del suo diario di Auschwitz Se questo è un uomo proprio al Canto dantesco di Ulisse, Invernizzi ha introdotto la versione dantesca del mito più affascinante della nostra cultura occidentale.



Ulisse è sempre stato ed è per noi, come una persona ancora viva, l’incarnazione stessa dell’astuzia, dell’intelligenza, della voglia di uscire dal proprio particulare per scoprire il mondo. Ma a Rimini è arrivato l’Ulisse dantesco che senza perdere nulla dei caratteri del primo Ulisse classico, il “polutropos”, l’eroe dai molti volti, diventa l’emblema stesso dell’umanità, il pretesto per cantare “la statura dell’uomo”.



E la mostra dedicata qui al Meeting a questo tema (fra parentesi le mostre a Rimini sono sempre molto attraenti e i cataloghi di Itaca libri sono preziosi per portarsi a casa qualcosa di più di un’emozione) che Invernizzi e Martino hanno introdotto in un seguitissimo ed emozionante incontro all’Auditorium è in sé un piccolo evento, fatta com’è di letture poetiche ad alta voce e ad alto coinvolgimento. Ulisse a Rimini si è riscattato, si è rivelato anche l’eroe del cuore, non solo del cervello.

Che cosa ci sarà mai in questo mito classico rivisitato da Dante da rendere la questione così viva e presente? Il già citato Levi e un’altra vittima della violenza statalista e ideologica del Novecento, il poeta dissidente russo Osip Mandelstam, ragionano proprio sul XXVI Canto dell’Inferno. Entrambi da prigionieri si rifugiano nel ricordo di quella terzina: “Considerate la vostra semenza/ Fatti non foste a viver come bruti/ ma per seguir virtute e conoscenza”.



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Che inno all’umanità, che sintetica e magistrale descrizione della statura dell’umano, del suo desiderio! Senza esserne a conoscenza, a distanza di pochi anni due vittime del campo di concentramento, una di Hitler e l’altra di Stalin pensano a Dante, al suo Ulisse. Vi si aggrappano. Il Pikolo del romanzo di Levi, Jean Samuel, è ancora vivo e a distanza di anni ha detto di quel recitare ad alta voce Dante da parte di Levi in una fredda mattina di Auschwitz: “Era l’estrema protesta del concentrazionario”.

 

Invernizzi e Di Martino hanno ben spiegato che non è affatto una questione secondaria l’interpretazione che si è data per anni di Dante. È come se ci fossero state tre grandi correnti di lettura di questo mito dantesco. La prima va da Croce a De Sanctis e vede una contraddizione fra il Dante poeta e il Dante cristiano-teologo. Il poeta amerebbe Ulisse, ma il teologo, come ha detto efficacemente Di Martino, lo “castra”.

 

C’è poi una lettura religiosa che vede nel desiderio di Ulisse una esagerazione anche rispetto a Dio, il “folle volo” sarebbe una colpa, anche cristiana. Mentre è la lettura che propone don Luigi Giussani ne Il senso religioso a rendere giustizia a questo mito.

 

Non è certo il desiderio di Ulisse una colpa, ma è il mezzo, il come, che lo porta al fallimento. Non è una questione da poco, perché nella negazione o meglio nella limitazione del desiderio si gioca una partita fondamentale. “Resecare spem longam” raccomandava già il poeta romano Orazio ispirandosi ad Epicuro. Letteralmente tagliare la propria aspirazione all’Infinito per non soffrire. Predicazione che se poteva avere un valore prima dell’Incarnazione diventa una censura stridente nel mondo dopo Cristo.

 

Non per niente l’interpretazione di Giussani è la più vicina a quelle di Eliot, Auerbach, Singleton e della dantista italiana Anna Maria Chiavacci, citata ieri a Rimini.

 

Questo ha di davvero seducente il Meeting: proporre le grandi questioni della vita e della cultura a un pubblico, spesso giovanile, molto vasto. Per questo Ulisse è passato volentieri anche da Rimini.

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