La storia delle confraternite affonda le sue radici nei secoli remoti del primo Medioevo. L’epoca carolingia ne registra già una presenza significativa. Ma esistevano sicuramente da prima, in quanto la diffusione del cristianesimo nel mondo antico, sovrapponendosi agli istituti giuridici della tradizione romana, portò inevitabilmente a esaltare il bisogno di condividere l’esistenza unendosi in una rete di legami che abbracciavano gli individui. Rotta l’unità del Mediterraneo che univa Oriente e Occidente, sulla scia del grande sviluppo urbano dopo il Mille e del potente risveglio religioso dei secoli XII-XIII, le confraternite dilagarono per ogni angolo della cristianità latina che aveva accolto in sé i nuovi apporti germanici, innestando un processo di espansione che si prolungò per secoli.



Ogni epoca aggiunse qualcosa di suo alla continuità di una vicenda ininterrotta. Il mondo delle associazioni confraternali fu attraversato dai periodici sussulti dei movimenti penitenziali tipici della religiosità dell’ultimo Medioevo. Vide affermarsi il primato della maternità protettiva di Maria e diventò il canale privilegiato per il lancio della preghiera centrata sui misteri del Rosario, a partire da metà Quattrocento.



Parallelamente, si risvegliò la vocazione caritativa e assistenziale delle antiche confraternite e si nutrì la loro pietà tesa a fare memoria delle sofferenze redentrici inflitte al corpo di Cristo nella Passione, che spingeva a onorare il culto del sacramento eucaristico e inseguiva l’ostentazione sempre più visibile e gloriosa dei segni della presenza misteriosa del Signore risorto dentro la realtà della vita collettiva degli uomini.

Sotto lo stimolo delle riforme religiose sollecitate dalla nuova ondata cristianizzatrice dell’età moderna e in particolare dopo il concilio di Trento, le confraternite conobbero una seconda giovinezza e consolidarono la loro fitta rete nel corso della fase barocca, arrivando in molti contesti anche rurali a reclutare un terzo o più della popolazione adulta. Solo procedendo verso la fine del Settecento subirono i colpi di una crescente offensiva delle autorità politiche e da parte dell’opinione pubblica influenzata dal modello di cattolicesimo “regolato” di Muratori e dai rigoristi seguaci del giansenismo più radicale.



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La polemica della cultura dei Lumi fece il resto. Le censure e le espropriazioni dei sovrani assolutisti, le politiche antiecclesiastiche dei governi giacobini e di Napoleone segnarono la fine della stagione più gloriosa delle confraternite. Ma in diversi ambienti conobbero un estremo rilancio con il passaggio alla Restaurazione, arrivando in qualche caso eccezionale fino a sfiorare la storia dei nostri giorni, nei luoghi di più forte tenuta delle forme espressive di una consuetudine un tempo florida e generalizzata, segnata da una grande vivacità popolare che di regola si è invece dissolta, lasciandosi spazzare via.

 

Cosa erano queste confraternite di cui parliamo? Erano associazioni che solitamente raccoglievano gli abitanti di un paese, i vicini di un quartiere, i devoti di un’immagine miracolosa, di un santo, di una chiesa o di un convento. Potevano darvi vita anche le colonie di stranieri che si trovavano ospiti di una città per motivi di lavoro, gli artigiani e i lavoratori salariati di una medesima professione, i nobili che disdegnavano la mescolanza con gli inferiori, coloro che avevano partecipato a un certo pellegrinaggio. Particolarmente robusti erano i rapporti con i quadri corporativi delle associazioni di mestiere.

 

Si incontrano confraternite di storpi e di mendicanti, di lebbrosi, di studenti, di artisti, di soldati. C’erano confraternite che assistevano i condannati a morte, altre che visitavano i carcerati o gestivano scuole, collegi, case di ricovero, ospizi, ospedali. Se non si impegnavano in modo stabile sul fronte delle attività di beneficenza, quanto meno amministravano i beni di una chiesa o di una cappella aperte al culto dei fedeli.

 

Al di là della diversità dei compiti e delle ispirazioni, si ritrova come nucleo di fondo una comune sostanza: garantirsi l’assistenza di un santo, della Vergine, ma anche di uomini in carne e ossa per superare felicemente le prove della vita, in particolare quelle della malattia, della morte e del passaggio alla vita ultraterrena. Si trattava di costruire una rete di solidarietà che ampliavano l’orizzonte della vita individuale e mettevano in rapporto tra loro famiglie e parentele diverse. Tessere i fili della memoria che tenevano uniti i vivi e i defunti, pregare e accumulare indulgenze per il destino eterno di ognuno degli amici consociati era la forma più elementare in cui si esprimeva il legame che tendeva a fare di molti individui un solo corpo compaginato nella disciplina di un’unica obbedienza.

 

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Per aiutare ognuno dei confratelli a raggiungere la meta ultima della felicità del cielo, già in questa vita bisognava prepararsi seguendo un codice religioso e morale messo per iscritto nel testo di una regola approvata collegialmente. La regola fissava il calendario delle riunioni, a volte anche più di una alla settimana. Prescriveva i riti di preghiera comune e indicava i doveri personali che scandivano il ritmo di ogni giornata, arrivando anche a toccare la cura dedicata all’educazione dei figli, il modo di aprire i pasti in famiglia, le devozioni che si potevano coltivare fra le mura della propria casa.

 

In genere ogni anno i confratelli riuniti in assemblea eleggevano o rinnovavano i ministri a cui erano affidati i compiti diversi previsti per la vita ordinata dell’associazione. Erano questi a gestire le finanze interne alimentate dalle donazioni dei soci e dal versamento di quote periodiche, provvedendo a tutte le spese necessarie per la buona tenuta della sede, per la celebrazioni delle funzioni e il sostegno delle opere o delle attività rivolte al pubblico cittadino.

 

Il momento culminante era la festa solenne del santo protettore, in cui alla messa cantata, al corteo processionale e ai suffragi per i confratelli scomparsi si potevano aggiungere un banchetto comunitario, lo scambio del bacio di pace o la distribuzione di focacce benedette “in segno e figura de comunione e reciproca caritade, dilezione e amore che (dobbiamo) avere insieme specialmente tra quelle persone della fraternità nostra” (Padova, confraternita di S. Antonio).

 

Nell’abbraccio di una scuola di vita fondata sulla ripetizione dei gesti e sull’imitazione reciproca, si spalancava per tutti la possibilità di introdursi in una esperienza di condivisione aperta alla speranza e nutrita dalla carità fraterna: “E cossì io prego il Signor Idio mi volia perdonare deli erori mei, prima, e poi a tuti li altri, chiedendoli perdonanza con animo di emendarmi per lo avenire acciò che alla fine possa andar al loco de felicità eterna insieme con tuta la compagnia (della fraternità), come io spero e tengo per certo” (Milano, confraternita della Penitenza e di S. Francesco in S. Lorenzo maggiore, 1573).