E’ morto il Pikolo di Se questo è un uomo. Si chiamava Jean Samuel e una volta tornato da Auschwitz era sempre rimasto a Wasselonne, in Belgio, a lavorare nella farmacia di famiglia. Un sopravvissuto. Un salvato. Ci lascia a disagio la sua morte perché in certo senso era rimasto un contatto vivo con Primo Levi e con il miracolo di quella mattina nel lager raccontata in una delle pagine più belle di tutta la letteratura italiana.
Per chi non se la ricordi, la storia è questa. Primo Levi dedica uno dei capitoli più luminosi del suo straordinario diario della prigionia nel campo di concentramento nazista ad un dialogo serrato con un giovane inserviente belga di uno dei kapò, che vuole imparare l’italiano. Levi glielo insegna recitando a memoria il Canto XXVI dell’Inferno dantesco: “Il Canto di Ulisse”, che poi è anche il titolo del capitolo. La memoria selettiva del giovane Levi pesca i versi danteschi a difesa della grandezza umana. E recita:
Considerate la vostra semenza:
fatti non foste a viver come bruti,
ma per seguir virtute e canoscenza
E subito dopo esclama: «Come se anch’io lo sentissi per la prima volta, come uno squillo di tromba, come la voce di Dio». L’episodio è uno squarcio di umanità e di amicizia, rivolte all’Infinito, fra due giovanissime vittime dell’atroce macchina di morte nazista. Due sopravvissuti che hanno continuato a dialogare a lungo dopo quella terribile esperienza. Nel 2008 Samuel, il Pikolo del libro, decise di pubblicare le lettere quarantennali fra lui e Primo, in Italia pubblicate da Frassinelli (Mi chiamava Pikolo). E’ un racconto dolcissimo, che fa da controcanto alle pagine di Se questo è un uomo.
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Jean Samuel aveva incontrato Levi sull’orlo di un baratro in cui purtroppo caddero quasi tutti i prigionieri del lager. E subito la loro amicizia ebbe il connotato di questa lucidissima e disperata urgenza di parlare delle cose importanti della vita. Delle cose ultime. Del perché siamo uomini e di che cosa significhi accettare la sfida del vivere.
Mi è capitato di far intervistare Jean Samuel qualche anno fa per un’edizione di Terra!, condotto da Toni Capuozzo, a 60 anni dalla liberazione di Auschwitz. Il Pikolo mi colpì in quell’occasione per i suoi occhi azzurri intensi e per quello che disse sulla voglia di vivere di Primo. Non accettava l’idea del suo suicidio, lo spiegava solo come l’esito di una malattia curata male, la depressione.
Ricordava invece la grande voglia di capire di Levi, la sua delicata volontà di amare questo mondo. Forse è per questo che si è poi deciso a pubblicare il loro carteggio, prima di andarsene. Di quella luminosa mattina di Auschwitz, in barba ai Kapò e alle SS, Samuel aveva una memoria diversa da quella di Levi, nel senso che non si ricordava Dante in quell’occasione, ma spiegava che per loro i versi dell’Ulisse dantesco erano stati “l’estrema protesta del concentrazionario”. Protesta poetica ed inerme che però ha attraversato il secolo, segno perenne dell’irriducibilità dell’umano.
Addio Pikolo, che tu possa discorrere ora con l’amico Primo nella luce di un al di là che Dante aveva raccontato ad entrambi e che la Misericordia di Dio vi ha preparato. Prosegui all’infinito quella passeggiata mattutina. Le parole che allora vi diceste erano e restano parole vere. In qualche modo le ritroverai.