Nato ad Aix-en-Provence il 19 gennaio 1839, di origine italiana per parte di padre, educato in un ambiente benestante e borghese, Paul Cézanne apprende la pittura nella città natale. Nel 1861, vincendo le resistenze paterne, il pittore si stabilisce a Parigi, dove lo aspetta l’amico Zola e dove conosce Pissarro.

Entra negli ambienti parigini e Monet vede nella sua pittura aspetti simili alla narrativa di Flaubert, per il linguaggio sobrio, in cui la tendenza romantica viene tenuta a freno dalla solidità dello studio della natura. Dal 1869 il pittore convive con una giovane modella, Hortense, dalla quale ha un figlio. La guerra franco-prussiana disperde il gruppo di pittori ai quali Cézanne appartiene: Manet, Degas, Renoir si arruolano, Monet e Pissarro fuggono in Inghilterra, Cézanne diserta e si rifugia con Hortense vicino a Marsiglia. Nel 1874 quasi tutti questi personaggi espongono per la prima volta insieme in uno studio situato in boulevard des Capucines e, subendo le aspre critiche dei pittori più legati alla tradizione, cementano l’amicizia e la poetica del gruppo.



Con la seconda esposizione del 1877, gli Impressionisti si guadagnano il favore di una parte della critica. Cézanne vi espone 17 quadri e l’amico Zola lo definisce come il maggior colorista del gruppo. Negli anni seguenti fitti sono i rapporti del pittore con Baudelaire e Huysmans. Ma oramai Cézanne va per la sua strada, staccandosi dagli Impressionisti: vuole spingersi verso una pittura più concettuale, più pura. Probabilmente è questo il motivo per cui nelle sue tele ricorrono sempre gli stessi soggetti, che si caricano di una pluralità di significati, come la natura diventata per i Decadenti una foresta di simboli.



Dal 1880 il pittore ritorna definitivamente al sud. Si riconcilia col padre, rompe la decennale amicizia con Zola e intensifica il legame con Renoir. Dopo vent’anni di isolamento, Cézanne espone a Parigi nel 1895, in una personale di 150 dipinti e viene salutato dagli antichi compagni come maestro. Negli ultimi anni il suo orizzonte si restringe nella vita solitaria e semplice nei dintorni di Aix, dove dipinge. Proprio mentre è intento al lavoro, viene colto da malore durante un temporale e muore pochi giorni dopo, nel 1906.

L’obiettivo di Paul Cézanne è ritrovare l’ordine strutturale presente nella realtà, rappresentabile “per mezzo del cilindro, della sfera e del cono, tutto nella giusta prospettiva, in modo che ogni lato di un oggetto sia rivolto verso un punto centrale”. Egli afferma che l’occhio esercitato al contatto con la natura “diventa concentrico guardando e lavorando” e che “in un’arancia, in una mela, in una ciotola, in una testa vi è un punto culminante. E questo, nonostante il terribile effetto della luce e dell’ombra, e delle sensazioni del colore, è sempre più vicino al nostro occhio; gli orli degli oggetti retrocedono verso un centro sul nostro orizzonte”.



 

Proprio lui che per tutta la vita deve lottare contro una instabilità nervosa che lo spinge spesso nella depressione e nella noia, che non tollera le discussioni perché lo affaticano e lo trovano impreparato, ingaggia con la realtà una dialettica continua, fatta di “lenti progressi”, alla ricerca di uno svelamento che permetta all’artista di essere “la coscienza stessa del paesaggio”. Interessato all’essenza delle cose, non può che staccarsi dal soggettivismo degli Impressionisti, ai quali pure deve moltissimo e volgersi verso una costruzione sempre più volumetrica e astratta dei suoi soggetti, siano essi nature morte, figure umane o paesaggi. Le “cose” di Cézanne durano come un proseguimento indefinito dell’esistenza, anche perché il tentativo dell’artista è quello di conoscerle al di là dell’amore che lo conduce verso di esse.

L’apparente disumanità della sua pittura si capovolge nella più profonda umanità del non-possesso, del permettere che le cose siano quello che sono, assumano il carattere eterno e monumentale, non retorico, di ciò che accade. Negli ultimi anni della sua vita, sembra che il rapporto conflittuale dell’artista con l’esistenza si vada rasserenando nella luce della natia Provenza, anche se permane l’impressione del rapido passare delle cose, che lo lascia come in un vuoto. L’unica reazione a questa vertigine è allora di mettersi per mesi davanti a un solo soggetto “senza cambiare posto, solo inchinandomi un po’ più a destra, o un po’ più a sinistra”. La montagna Sainte-Victoire con la sua luminosità e il suo profilo allungato sembra essere il luogo privilegiato per carpire l’anima della terra di Provenza.

Attraverso la modulazione dei toni in sequenze quasi musicali, il tocco di Cézanne diventa più libero, i suoi colori più intensi, fino a costituire, per usare le sue stesse parole “la carne visibile delle idee e di Dio”.