“Grande guerra patriottica” è il termine con cui in Russia si definisce la seconda guerra mondiale. Già l’espressione è particolare, e a un orecchio occidentale sa di retorica ed evoca atmosfere lontane, legate al XIX secolo. In Russia, invece, è oggi un’espressione sentita più che mai. Non solo, la guerra stessa, nelle sue varie interpretazioni, è al centro di un attualissimo dibattito storico e culturale, perché al conflitto contro il Terzo Reich hitleriano è legata la memoria di un momento cruciale per la storia sovietica ma anche la comprensione del momento attuale della Russia.
È per questo che va accolto con riconoscenza il volume pubblicato da Marietti 1820 E le loro madri piansero. La grande guerra patriottica nella letteratura russa sovietica e postsovietica, di Frank Ellis, storico e slavista inglese, ex soldato dello Special Air Service britannico.
Il libro è un viaggio nella letteratura russa sul tema della seconda guerra mondiale, partendo dalle opere degli anni ’40 (dunque a guerra ancora in corso) per arrivare fino ai giorni nostri. È una monografia che copre uno spazio che era rimasto vuoto nel panorama occidentale ed è un’opera che ha un valore attuale perché, come sottolinea Vittorio Strada nella prefazione, la “Grande guerra patriottica” è stata il teatro di grandi ambiguità a cui l’attualità russa è ancora incapace di guardare lucidamente.
La guerra, infatti, fu senz’altro un momento di rottura paradossalmente positivo, uno sprazzo di luce nell’oscura notte del totalitarismo sovietico. Basti ricordare che nel celebre ed emozionato discorso dopo il “fedifrago” attacco di Hitler, Stalin si rivolse alla popolazione inebetita affiancando all’appello ai “compagni” e alle “compagne” il più tradizionale e reazionario “fratelli e sorelle”. Si apriva così un nuovo corso nella storia sovietica: di fronte alla guerra il Regime non era più in grado di muovere la popolazione solo con la forza e le armi della propaganda, con la paura e il sospetto, ma doveva ricorrere al mai sopito amore per la Patria. Iniziò così la “Grande guerra patriottica”.
Essa vide la mobilitazione dell’intera popolazione che, con un immenso tributo di sangue, ottenne una vittoria epocale sul nemico nazista. Per la prima volta dal 1917, dentro il dramma della guerra, il popolo si mosse unito, non in nome del partito ma della Patria e della libertà. Ma proprio la parola “libertà” aveva una doppia faccia: era sì quella che la Germania nazista voleva distruggere, ma era anche quella che, con una repressione di non minore entità, era andata perduta nella stessa Unione Sovietica. La vittoria finale portò ad un risultato paradossale: la sconfitta del totalitarismo nazista e, allo stesso tempo, la restaurazione di quello sovietico, assurdamente giustificata dalla vittoria stessa.
Ecco perché, da subito, l’interpretazione della guerra divenne materia di conflitto e di censura. È la guerra degli aggettivi cui si fa accenno nel sottotitolo del libro di Ellis: quale letteratura per quale lettura del conflitto? Quale verità sulla guerra? Russa, sovietica o post-sovietica?
Nel dopoguerra il Regime impose una visione ufficiale sopprimendo ogni lettura alternativa. Stalin, il Partito e l’Armata Rossa avevano sconfitto Hitler, abbattendo il più grande totalitarismo della storia d’ogni tempo. Una storia pericolosamente lineare, in cui tutto si doveva risolvere in un contrasto di colori: il rosso della vittoria sovietica contro il nero del mostro hitleriano. Ma era tutto il resto che non si doveva sapere. Non si doveva ricordare che la guerra era stata vinta con un numero di vittime superiore di ben dieci volte a quelle nemiche, che l’attacco improvviso e le sconfitte del primo anno di guerra erano state causate dagli errori di valutazione di Stalin, che la resistenza era stata forzata a costo di eccidi interni, che la polizia politica aveva combattutto una guerra nella guerra, decimando i suoi stessi soldati.
Eppure, il Regime non riuscì ad imporre la sua visione. Come avrebbe scritto Pasternak, «il preannuncio della libertà era nell’aria, in quegli anni del dopoguerra, e ne costituiva l’unico contenuto storico». Se il Regime non ha potuto vincere, il merito è anche della grande letteratura e della sua capacità di rimanere pura di fronte all’inquinamento ideologico, ancorata alla realtà anche là dove essa è dura, tragica ed ambigua. È il miracolo dell’arte che nasce e fa conoscere là dove tutto sembra indicibile e disumano.
Gli autori di questa letteratura sono purtroppo sconosciuti al grande pubblico italiano, relegati perlopiù all’interesse di studi specialistici. Il più noto è Vasilij Grossman, che sta conoscendo solo in tempi recenti il successo che merita. Ma se Vita e destino è ormai una hit delle vendite, manca ancora la traduzione del suo antecedente Per una giusta causa. Altri grandi autori sono il Viktor Nekrasov di Nelle trincee di Stalingrado, il Jurij Bondarev de I battaglioni richiedono il fuoco, il Grigorij Baklanov de I morti non provano vergogna, il Viktor Astaf’ev de Il pastore e la pastorella e, forse più conosciuto, il Konstantin Simonov de I giorni e le notti. Con loro molti altri che Ellis indica e fa conoscere. Un’attenzione particolare merita Vasil’ Bykov, bielorusso, che ha scritto fino agli inizi di questo decennio, ritagliandosi un posto importante che può avvicinarlo allo stesso Grossman. I suoi romanzi non sono ancora mai stati tradotti in italiano, e speriamo che questo libro invogli traduttori ed editori a diffondere la sua opera.
E le loro madri piansero è dunque una grande novità tra gli scaffali delle librerie. Importante, perché rimette in primo piano quella letteratura che ha voluto sfidare la visione ufficiale della guerra imposta dal Partito e ancora oggi troppo facilmente propagandata.